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Il Calice di Corrado (155) - Wine&Siena, primo evento vitivinicolo del 2018 (Vini bianchi)

25/2/2018

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Con l’anno nuovo riprende tutto il giro delle manifestazioni, in particolare quello delle Anteprime delle più importanti denominazioni di origine, ma l’evento che ha aperto col botto l’anno vitivinicolo è stato quello che si è svolto nell’ultimo fine settimana di gennaio nella città del Palio, simbolo della viticoltura italiana con le sue 5 DOCG.

Progettato da Gourmet’s International, ente organizzatore anche del Merano Wine Festival, il Wine&Siena ha riunito per la terza volta una selezione di eccellenze enologiche premiate dalla commissione d’assaggio di Merano con la certificazione di qualità, il WineHunter Award: tra sabato 27 e domenica 28 gennaio oltre 3000 winelovers si sono affollati nelle prestigiose locations dove circa 160 produttori in rappresentanza di 15 regioni italiane hanno portato più di 500 vini in degustazione, senza contare i vari showcooking e le quattro MasterClasses di approfondimento tenutesi nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università.

Prima tappa il Palazzo Comunale in Piazza del Campo dove, tra la Sala della Pace e la Sala Mappamondo, oltre a poter godere della vista di famosi capolavori della pittura italiana (il più celebre la Maestà di Simone Martini, affresco del 1315 che occupa tutta la parete nord della Sala del Mappamondo), erano stati sistemati i banchi d’assaggio delle bollicine e dei vini bianchi.


Riguardo alle prime, mi è davvero piaciuto lo stile di 3 Franciacorta, a base Chardonnay con percentuali variabili dal 10 al 25% di Pinot Nero, di un’azienda che ancora non conoscevo, Lantieri de Paratico, 20 ettari vitati a Capriolo (BS) per una produzione di circa 120.000 spumanti, con una linea comune di freschezza e mineralità, ampia aromaticità e polposità nel sorso, armoniosamente eleganti, con mia attuale preferenza per l’Extra Brut (24 mesi sui lieviti) rispetto al più complesso Riserva 2011 Origines (60 mesi e residuo da Nature, ancora un paio d’anni in bottiglia e diventerà un’eccellenza) e al Brut Millesimato 2013 Arcadia (42mesi), 3 Bicchieri Gambero Rosso, anch’esso in evoluzione.
Con grande piacere ho poi (ri)assaggiato gli Champagne di Maxim Blin (alcuni già ben recensiti nella puntata 148), giovane e piccola Maison con 12 ettari a Trigny (10 km da Reims nel territorio della Montagne de Reims) dove vengono coltivati tutti e tre i vitigni per la produzione dello Champagne (50% Pinot Nero, 30% Pinot Meurnier e 20% Chardonnay.), riscontrando un’ancor maggiore qualità: già di alto livello il Brut Carte Blanche 2012 (80% Pinot Meunier e 20% Pinot Noir) con il 40% da vini di riserva, intenso al naso e fresco e strutturato in bocca, ma gli altri 3 erano ancora superiori, ad iniziare dalla Cuvée Grand Tradition Brut 2011 (90 Chardonnay 10 Pinot Noir) dai sapidi toni agrumati, passando per la Cuvée Maxime 2011 (un terzo per ciascun vitigno) dalla succosa acidità ed arrivando al miglior assaggio in assoluto, il Brut Millesimo 2005 100% Pinot Noir, di un intenso giallo dorato con delicate note di frutta secca, miele e brioches, complesso ed armonico nella sua finezza.
Sul versante dei vini bianchi, ho trovato particolarmente interessanti due aziende marchigiane della zona del Verdicchio dei Castelli di Jesi di cui la prima è Vignamato, che nei 13 ettari piantati a Verdicchio, distribuiti su distinti appezzamenti con diverse caratteristiche, ne produce ben 5 etichette, tre delle quali portate in degustazione: l’unica che fermenta ed affina poco più di un anno in barrique per il 40% e successivamente oltre 6 mesi in bottiglia è l’Ambrosia Riserva 2013, che già dal colore rende onore al proprio nome con un giallo paglierino dorato con riflessi verdognoli, un esteso bouquet di profumi dalla frutta matura ed esotica fino alla mandorla ed una lunga persistenza sorretta da acidità e mineralità, mentre le altre 2 bottiglie, il Classico ed il Versiano Classico Superiore 2016, fermentano ed affinano solo in acciaio giocando maggiormente su una più immediata gradevolezza e freschezza di beva.
L’altra azienda è Casaleta, nei cui 11 ettari di vigneti di Verdicchio vi sono anche piante di circa 80 anni, custodite con cura riproducendo dalle loro marze i cloni del vecchio ecotipo di Verdicchio, vero patrimonio territoriale; in cantina vengono utilizzati piccoli serbatoi di acciaio tenendo separate le vendemmie, effettuate in più passaggi, dalle varie zone del vigneto per ottenere tipologie di prodotti dalle diverse caratteristiche, ad esempio il Castijo 2014, dopo 6 mesi in botti di acciaio e 2 in bottiglia, ha profumi di frutta fresca, pesca, mela ed albicocca con una bella vivacità di gusto, mentre il Classico Superiore La Posta 2013, affinato il 50% di tempo in più, rilascia anche note agrumate ed un leggero sentore di idrocarburi in un sorso più pieno e corposo.

Infine la Riserva Barasta 2013, dalla bassissima produzione per ettaro che fermenta ed affina un anno in barriques con ripetuti bâtonnage e 6 mesi in bottiglia, aumenta la gamma aromatica da fiori e frutta bianca fino ai sentori balsamici, regalando un persistente sorso in armonia tra acidità, grassezza, corposità e sensazioni saline-minerali dal finale ammandorlato.

"Bevete del vino in inverno perché fa freddo, e d’estate perché fa caldo” - Henry George Bohn
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Il Calice di Corrado (154) - Calici sotto l'albero 2017

18/2/2018

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L’ultima manifestazione di rilievo dell’anno 2017 a cui ho partecipato è stata “Calici sotto l’albero”, organizzata per la settima volta dall’Associazione Culturale Enogastronomica senza scopo di lucro “Sauro & Gianni Sommeliers”, con sede a Villa Adami a San Piero a Sieve (FI) dal novembre 2011 attiva nell’organizzare degustazioni guidate, pranzi e cene con abbinamento di vini, gite enoturistiche di uno o più giorni e corsi di avvicinamento al vino, oltre al sopracitato evento clou dell’anno.

L’iscrizione è totalmente gratuita, si richiede solamente un’unica presenza annuale ad una delle numerose iniziative, per avere un’idea più precisa consiglio di dare un’occhiata al loro sito internet http://www.sommeliersauroegianni.com, a me dispiace unicamente di averli conosciuti solo da pochi anni, mi sono perso tante cene e gite a cui avrei partecipato più che volentieri!

Tornando a “Calici sotto l’albero”, svoltasi nuovamente nella sala più grande dell’Hotel Albani in via Fiume a due passi dalla Stazione SMN, ogni anno aumentano le aziende selezionate e di conseguenza le etichette sui banchi, ma la qualità rimane sempre molto alta, quest’anno erano presenti personalmente quasi 50 produttori per un totale di circa 230 vini, con la possibilità, come di consueto, di acquistare direttamente le bottiglie.

Il mio girovagare è consistito nell’andare a colpo sicuro su alcune aziende che ormai conosco e soprattutto riconosco di ottimo livello, scoprire nuove realtà ed infine approfondire la conoscenza di altre, assaggiando tutta la produzione e non solo il vino di punta.

Sul primo versante, degli spumanti metodo classico della doc Lessini Durello dell’azienda veneta Sacramundi ho degustato, oltre all’imperdibile Riserva Classico 36, anche la novità “Lovara” Brut, sempre 100% uva Durella, 18 mesi sui lieviti, dalla beva fresca e croccante, note citrine e spiccata mineralità, altro prodotto ben riuscito; buoni entrambi i Cru (Pietrarossa e Mulinvecchio) del Nobile di Montepulciano di Contucci con mia preferenza per la Riserva, tutti 80% Prugnolo gentile, 10% Canaiolo nero e 10% Colorino dell’annata 2013; di livello l’Amarone della Valpolicella Classico di Flatio Veneto, mentre di 3 aziende ho riscontrato un vino ottimo ed uno ancora superiore, di Lisini il Brunello di Montalcino 2012 e l’Ugolaia 2011, di Silvano Bolmida il Barolo Bussia 2013 e la Riserva 2011 e di Cagliero il Barolo Ravera Riserva 2008 ed il Barolo Chinato, particolare vino da dessert aromatizzato con erbe e spezie di cui magari parlerò più specificamente in futuro.
Tra i nuovi assaggi ho trovato parecchio interessanti i vini della zona di produzione del Verdicchio di Matelica Doc dell’azienda bio Borgo Paglianetto, sia l’Ergon ma in particolare il Vertis, affinato 8 mesi in acciaio e a lungo in bottiglia, dalle raffinate note di fiori bianchi ed erbe aromatiche, asciutto e sapido in bocca con finale ammandorlato; tipicità territoriale poi nei vini da viticoltura eroica dell’azienda ligure Berry and Berry, il Baitinin, blend di Pigato e Vermentino da vitigni di 40 anni, ed il Campulou, 100% Pigato, entrambi fermentati in acciaio da cui una bella freschezza con note saline, ma il secondo con un anno di invecchiamento in bottiglia che conferisce una maggiore complessità sia olfattiva che gustativa; gran bei vini anche il Chianti Classico e la Riserva 2012 dell’azienda Solatione a Mercatale Val di Pesa, meriteranno un’analisi più ampia l’anno venturo.
Infine ho avuto modo di conoscere più a fondo una chicca enologica nel cuore del Chianti Classico, la Società agricola I Sodi, situata nella frazione Monti di Gaiole in Chianti, nei cui 12 ettari, esposti al sole per tutto il giorno e riparati da boschi e colline, si crea un perfetto microclima per vini di eccellente qualità: già il Chianti Classico 2014 (93% Sangiovese, 7% Canaiolo), nonostante l’annata non certo favorevole, con i suoi aromi fruttati invita alla beva che si rivela ben fresca e succosa, la Riserva 2013 (2% in più di Sangiovese) poi, dopo un affinamento di almeno 2 anni, di cui 16-18 mesi in piccoli fusti di rovere e successivi 9 mesi di affinamento in bottiglia, amplia la gamma aromatica con tabacco, liquirizia, vaniglia e pepe nero, regalando un sorso di piacevole polposità.

A seguire i due superbi Supertuscan (tecnicamente IGT): il Soprasassi 2012, prodotto solo nelle migliori annate dalle vigne più antiche (35 anni) di Canaiolo, antico vitigno autoctono che nell’assemblaggio conferisce morbidezza al Sangiovese, qui invece in purezza, dopo una lunga macerazione per 20 giorni invecchia oltre 3 anni (di cui 2 in piccoli fusti di rovere) e viene imbottigliato senza filtrazione, grande armonia in bocca tra sensazioni fruttate e croccantezza dei tannini, ed il Vigna Farsina 2011, già vincitore della Medaglia d'oro a Mundus Vini 2017, 100% Sangiovese dalla vigna più antica (40 anni), vinificato come il Canaiolo ma con più lungo affinamento, si apre con aromi di amarena, prugna, liquirizia e tabacco, caldo e avvolgente in bocca con i suoi tannini sottili ma ben presenti, pieno, ricco, estremamente gustoso ed elegante.

“Il vino è il più certo e (senza paragone) il più efficace consolatore” – Giacomo Leopardi
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Il Calice di Corrado (153) - Il Mercato dei vini 2017 della FIVI – II parte

11/2/2018

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Riprendo da dove avevo lasciato in sospeso la scorsa puntata, i miei migliori assaggi di vini bianchi: un’altra azienda marchigiana che produce un interessante Verdicchio è La Monacesca, in provincia di Macerata nel cuore del territorio del Verdicchio di Matelica, dove la lontananza dal mare e le altitudini fonti di maggiori escursioni termiche rispetto alla zona del Verdicchio dei Castelli di Jesi marcano la differenza soprattutto nei primi anni di vita, quando i vini di Matelica possono scontare un po’ di scontrosità, ampiamente ripagata però da una futura grande evoluzione: è il caso del Verdicchio di Matelica (da uve surmature) Riserva DOCG Mirum 2015, da poco in bottiglia dopo 18 mesi in acciaio e sei in bottiglia, ancora molto tagliente ma assai intrigante.

Detto che non sono riuscito a comprare l’aromatico ed agrumato Kerner di Weingut Unterhofer (Caldaro-BZ) per esaurimento delle disponibilità già a fine mattinata (sigh..) e che il Pinot Grigio ed il Friulano di Silvano Ferlat (Cormons-GO) erano perfettamente in linea con gli splendidi ricordi della visita in cantina dell’ottobre scorso, un batteria di vini di assoluto livello è stata quella dell’azienda friulana a conduzione biologica e dal 2015 biodinamica Aquila del Torre, a Savorgnano del Torre (UD) sui Colli Orientali del Friuli, di cui avevo memoria dall’evento Vinoé.

Già il Primaluce (da una particella esposta alla prima luce del giorno) Sauvignon Blanc, vitigno che comunque non è tra i miei preferiti, mi aveva stupito per i sentori tropicali abbinati ad una gustosa sapidità, poi anche l’interpretazione del Riesling (renano), vitigno che invece adoro, è stata di mio completo gradimento, sicuramente dovuto anche all’ottima evoluzione in bottiglia visto che si parla dell’annata 2010, ed infine il Friulano si è meritato un doppio assaggio grazie alla piacevolezza di una beva fresca e succulenta con un piacevolissimo finale leggermente amarognolo: tutti questi vini fermentano su lieviti indigeni e permangono più o meno tempo sulle fecce fini (sur lies), così da rispettare il più possibile le qualità varietali delle uve di origine, risultato pienamente raggiunto!


E’ poi arrivato il momento dei rossi e qui, escludendo per ovvi motivi la Toscana, ho voluto assecondare il mio palato: senza pentimenti né rimpianti, Piemonte e solo Piemonte!

Per quanto riguarda il (vitigno) Barbera, il più diffuso a bacca nera del Piemonte, nella tipologia Barbera d’Alba DOC mi è molto piaciuta la bevibilità dell’annata 2015 e del più maturo Superiore Alferi 2013 di Giuseppe Ellena dai suoi 5 ettari vitati a La Morra, così come le due etichette del 2015 dell’azienda agricola Sobrero Francesco dai 13 ettari a Castiglion Falletto, Selectio e La Pichetera “Superiore”, entrambe dalle note fruttate, floreali e speziate che donano una bevuta fresca e vivace, un po’ più complessa ed ampia nel secondo assaggio impreziosito da un lungo finale.

Della Barbera d’Asti DOCG ho trovato particolarmente interessante il giovane e brioso ma insieme vellutato Mon Ross 2016 della prima azienda agricola (biologica) in Italia scelta nel 2007 come Oasi affiliata al WWF, il Forteto della Luja a Loazzolo (dove grazie al loro passito di Moscato Vendemmia Tardiva è stata creata nel 1992 l’apposita DOC Loazzolo); notevole anche la Barbera d’Asti “Vignali” dell’azienda Armangia, “rivincita” in dialetto piemontese, dall’ex sottozona “superiore Nizza” che dal 2014 si è distaccata ottenendo il riconoscimento di una propria DOCG, ma ancor di più, tra le loro bottiglie in esposizione, mi è piaciuta la pienezza di beva del “Macchiaferro”, prodotto con uve Albarossa (incrocio fra Chatus o Nebbiolo di Dronero e Barbera), vitigno poco conosciuto e ancor meno coltivato, ma a me assai congeniale (vedi puntata 28).
Come migliori Barbaresco indico quelli di Massimo Rivetti, il cui motto “Produrre un buon vino significa trasformare uve di grande qualità” si traduce nel coltivare in sistema biologico i 25 ettari di vigneto, top di gamma il Froi, elegante e fruttato, ed il più strutturato e longevo Serraboella, selezionato Cru prodotto solo nelle annate migliori dalla vigna più vecchia di 60 anni, entrambi annata 2013 ed entrambi 2 Bicchieri Gambero Rosso.
Ed infine “Il Re dei vini, il vino dei Re”, il Barolo: ancora un vino di Sobrero tra i mie preferiti, il Barolo Ciabot Tanasio (da uve di 3 Cru), ma il banco dove ho passato più tempo è stato quello dell’azienda Ciabot Berton, 12 ettari a La Morra, di cui ho assaggiato con piacere sempre crescente tutte le 4 etichette di Barolo, ad iniziare dal delicato “La Morra”, passando dal “Ciabot Berton 1961” 2013, con accenni minerali e note balsamiche, poi il mio preferito, il “Roggeri” del 2012, corposo con una struttura tannica robusta ma setosa, ed infine il “Rocchettevino” del 2011, dagli aromi speziati ed un’armonica complessità: insomma, una gustosissima esplorazione sulle varie interpretazioni di questo vitigno, ancora mi chiedo perché non ne abbia comprato scatole intere...
“Un uomo non si sente mai completamente a suo agio, se non ha un bicchiere davanti a sé” - Jerome K. Jerome
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Il Calice di Corrado (152) - Il Mercato dei vini 2017 della FIVI (I parte)

5/2/2018

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Sabato 25 e domenica 26 novembre scorsi si è svolta per la settima volta a Piacenza la Mostra Mercato della FIVI, acronimo di Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, il cui scopo è di rappresentare la figura del viticoltore di fronte alle istituzioni, promuovendo la qualità e autenticità dei vini italiani.

Mia prima volta grazie alla Delegazione Fisar di Firenze che ha organizzato un pullman per poter partecipare all’evento senza doversi poi preoccupare del tasso di alcolemia previsto dal Codice della Strada, ma boom di presenze in assoluto, visto che dai 9.000 partecipanti della passata edizione si è giunti ai 15.000 di quest’ultima.

Traspare entusiasmo anche dalle parole rilasciate dal Presidente della FIVI: “Siamo convinti che il successo crescente del Mercato sia la diretta conseguenza della credibilità che ci stiamo guadagnando a livello istituzionale, in Italia come in Europa. Abbiamo le scarpe grosse e il cervello Fivi, le mani nella terra e la testa rivolta a una causa comune”.

Interesse quindi sempre crescente per i prodotti di questi vignaioli titolari di piccole aziende a conduzione familiare che, per poter far parte dell’associazione, devono rispettare alcuni criteri, come coltivare le proprie vigne ed imbottigliare il proprio vino vendendolo con proprio nome ed etichetta, non acquistare altre uve se non per estreme esigenze di vinificazione, rispettare le norme enologiche della professione limitando l’uso di additivi inutili e costosi e concentrando la propria attenzione sulla produzione di uve sane che non necessitino di trattamenti in cantina, in modo da creare un vino vera espressione del territorio.

Più di 500 i vignaioli presenti in rappresentanza di tutte le regioni con circa 3000 etichette che non solo era possibile degustare, ma anche comprare direttamente ai banchi e portarsi dietro nei carrelli da supermercato lungo gli infiniti e larghi corridoi dell’enorme capannone dove erano sistemati i banchi d’assaggio con dietro i produttori davvero encomiabili perché, se è pur vero che la pubblicità è l’anima del commercio, non dev’essere così facile ripetere per due giornate di fila più o meno le stesse informazioni all’eterogeneo pubblico che via via si trovano di fronte: però a me, e penso a tante altre persone, fa piacere poter parlare, oltre che degli stretti dettagli sulla composizione di un vino, anche della storia e della filosofia aziendale per capire meglio cosa c’è di “personale” nella bottiglia e quando, nonostante la fila alle spalle che preme per avere il bicchiere riempito, riesco ad instaurare un certo feeling, beh...probabilmente anche i vini mi sembrano migliori!
Dato che sono numerosi i vini che voglio ricordare, non mi dilungherò molto nelle descrizioni, iniziando la serie con i miei migliori assaggi di bollicine, quasi tutte Trentodoc.

Nata nel 1990, nei suoi 10 ettari a Rovereto l’azienda Balter già produce spumanti di qualità come il Brut BdB (Chardonnay) e soprattutto la Riserva 2011 Pas Dosé (3 Bicchieri Gambero Rosso..) che aggiunge un 20% di Pinot Nero nell’affinamento di oltre 60 mesi sui lieviti; salendo poi sui pendii della Valle di Cembra troviamo 15 ettari tra i 500 e 800 mt. di proprietà dell’azienda Zanotelli dai quali vengono prodotte 14 etichette tra cui l’ottimo For 4 Neri Brut a base Chardonnay ed un sorprendente Riesling Linea Le Strope (i rametti di salice usati per legare la vite al suo sostegno).

Davvero di livello superiore i vini della batteria di Bellaveder, 8 ettari ad agricoltura biologica nella Valle dell’Agide, in particolare i due spumanti Brut Riserva 2012 (Chardonnay) ed il debuttante Rosé Nature Riserva 2013 100% Pinot Nero, lo Chardonnay della Selezione Faedi fermentato in barrique e la riuscitissima espressione del Gewürztraminer 2016, fedele all’olfatto al varietale ma senza eccessi dolci in bocca grazie ad una equilibrante e gustosa sapidità.
L’unica bollicina top dei miei assaggi al di fuori della denominazione Trentodoc è stato l’Extra Brut a base Verdicchio dei Castelli di Jesi dell’azienda marchigiana Broccanera, 45 mesi su lieviti ed un anno in bottiglia dopo la sboccatura prima della vendita, ma anche il fermo Cantàro merita attenzione, già intrigante nella sua gioventù mi sentirei di scommettere su una grande evoluzione.

Ogni volta che li trovo non posso poi fare a meno di riassaggiare i vini dell’azienda valdostana Les Cretes, che ripagano sempre le mie aspettative, come stavolta sia il Petit Arvine vinificato in acciaio che lo Chardonnay Cuvée Bois, vinificato ed affinato “sur lie” per 11 mesi in rovere francese con “batonnage”, in pratica tramite una specie di bastone si rimescolano nella massa del vino le fecce depositatesi sul fondo della barrique allo scopo di conferire più intensità sia ai profumi che ai sapori. [segue]

“Un po’ di vino lo stomaco assesta, offende il troppo vin stomaco e testa” – Proverbio popolare
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