![]() Prima degli ultimi 2 giorni, un passo indietro a sabato quando, dopo l’inebriante degustazione degli Champagne Heidsieck, sono riuscito ad evitare l’inevitabile calca della Kurhaus nel giorno più frequentato recandomi presso l’adiacente Teatro Puccini dove era in programma la premiazione dei vini della guida “Vinibuoni d’Italia”, unica guida dedicata ai vini da vitigni autoctoni, cioè a quei vini prodotti al 100% da vitigni che sono presenti nella Penisola da oltre 300 anni. Alla presenza anche del patron del MWF Helmuth Köcher, ben 419 vini hanno ottenuto la Corona, massimo riconoscimento, e soprattutto diverse centinaia erano disponibili per l’assaggio insieme ad un sostanzioso e molto appetitoso buffet, predisposto da Grana Padano e Salumi Levoni, che ho abbinato ad una gran quantità di Brunelli (i più graditi Biondi Santi Riserva Tenuta Greppo 2008 e Le Ragnaie V.V. 2009) e Baroli (di rilievo Franco Conterno Riserva Bussia 2008 e Marchesi di Barolo Cannubi 2010). E veniamo agli ultimi due giorni, passati quasi interamente nelle fascinose sale della Kurhaus, dalla Kursaal, cuore elegante della struttura con i suoi 1.300 mq tra platea e galleria illuminate dalle grandi superfici vetrate, al Pavillon des Fleurs, l’aristocratica sala degli specchi, salendo poi al secondo piano dove ci troviamo di fronte alla suntuosa Rotonda, il lussuoso Foyer del Kurhaus situato sotto la Cupola con le sue colonne in finto marmo e tinte pastello e da qui, in sequenza, alle due grandi sale dai soffitti spioventi Lentner e Czerny. Unica ma sostanziale differenza tra le due giornate per quanto riguarda l’offerta in assaggio, la possibilità di degustare, lunedì, vecchie/vecchissime annate di vini di moltissimi produttori, evento replicato su scala molto minore anche al Tepidarium di Firenze in occasione del Life of Wine. E quindi quale occasione migliore per confrontare gli invecchiamenti degli Champagne con i nostri Franciacorta? Sì, perché lo Champagne è il vino più longevo al mondo se mantenuto nelle condizioni ottimali, vale a dire a temperatura costante di cantina (10-12 gradi), pochissima luce ed in posizione sdraiata cosicché il vino sia sempre a contatto col sughero mantenendolo umido ed elastico in modo che resti sempre attaccato alla bottiglia e non lasci né entrare l’ossigeno, né evaporare l’anidride carbonica. Poi c’è la questione del dégorgement (sboccatura, che serve ad eliminare i lieviti residui ormai esauriti della rifermentazione rendendo così il vino perfettamente limpido) che, come dice Bruno Paillard, rappresenta “un intervento chirurgico, più precisamente un trapianto, che necessita di un periodo di degenza prima che il vino possa tornare al suo pieno stato di forma” e tanto più a lungo sarà stato l’invecchiamento pre-dégorgement, tanto più tempo ci vorrà allo Champagne per riprendersi dallo “shock” ed esprimere al massimo la propria vitalità e complessità. Ebbene, anche i vari Franciacorta da me assaggiati sono risultati ancora spumeggianti di nome e di fatto nonostante i loro non pochi anni in bottiglia (si andava da un Berlucchi 2004 ad un Bellavista 1995), con menzione particolare per il Parosé (Pas dosé Rosé) 2001 (nato proprio con questa vendemmia) di Mosnel, 70% Pinot Nero vinificato in bianco dopo una breve macerazione e 30% Chardonnay. Conferme assolute sul fronte Champagne, un tripudio di sensazioni olfattive e gustative indimenticabili, sugli scudi la Cuvée Josephine 1998 di Joseph Perrier e la (rinata) storica Cuvée Prestige R. Lalou (carismatico Presidente della Maison dal 1939 al 1973) 1999 di G.H. Mumm, Pinot nero e Chardonnay in ugual proporzione da sette parcelle di vigneti Grand Cru, sicuramente ancora non alla fine della sua parabola ascendente. E con questi ricordi terminano le cronache da Merano ed anche gli articoli del 2014, riprenderanno con il nuovo ciclo di degustazioni del prossimo gennaio, buone bevute a tutti per le Feste, Cheers! “…combinazione ho un po’ di Champagne…” L.B. e M.
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Febbraio 2019
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