![]() Cari amici degustatori, più o meno accaniti lettori di questo blog, lo so che da qualche tempo una domanda vi arrovella e non vi fa dormire, vi attanaglia lo stomaco e non vi fa mangiare, vi manca il respiro al solo pensiero...ma chi fine ha fatto il quizzone?? E quindi, per far tornare la gioia nei vostri cuori, in pompa magna la panacea a tutti i mali, dopo l’edizione natalizia ecco quella postpasquale dell’unico, inimitabile, ineguagliabile QUIZZONE! Niente premi in palio se non l’aumento della propria enostima, ma magari potrebbe essere un allenamento per un eventuale bis della serata di fine degustazioni a giugno dello scorso anno quando, durante la cena a quiz, vennero messe in palio 9 bottiglie, di cui ben 5 Magnum! Il solito breve riepilogo del funzionamento del gioco: vengono proposte dieci domande (alcune su argomenti trattati nelle ultime serate degustative in Piazza) la cui risposta sarà da trovare all’interno di un trittico già a disposizione; per rendere leggermente più complicata la ricerca, il tris di risposte non sarà in correlazione con la cronologia delle domande, pertanto dovrete trovare voi gli incastri giusti, un po’ come trovare il giusto abbinamento di vino per un piatto in tavola... ![]() Iniziamo: Domande 1) Quante sono le sottozone del Chianti? 2) A quale azienda siciliana appartiene la linea “Grandi Stilisti” (Versace, Missoni, Blumarine, Alberta Ferretti, Gianfranco Ferré, ecc.) che hanno disegnato le etichette dei vini? 3) Da quale uva si ottiene il Prosecco? ![]() 4) In quale zona vinicola toscana si trova l’azienda Campo alla Comete, recentemente acquistata da Feudi di San Gregorio? 5) Come si chiama l’insieme di diverse uve che vengono unite per ottenere un vino? 6) Qual è la percentuale minima di Sangiovese per produrre un Chianti Classico DOCG? ![]() 7) Quali sono i due vitigni con i quali è consentito produrre il Cerasuolo di Vittoria? 8) Da un errore di vinificazione di quale vino ha avuto origine l’Amarone della Valpolicella? 9) In quale regione opera la cooperativa Citra Vini, i cui soci coprono ben 7000 ettari di territorio? 10) Qual è la differenza tra spumante e vino frizzante? Risposte a) Cru/Cuvée/Terroir b) Montepulciano e Sangiovese/Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio/Nero d’Avola e Frappato c) Abruzzo/Marche/Puglia d) Recioto della Valpolicella/Valpolicella Classico/Valpolicella Ripasso e) 5/6/7 f) Donnafugata/Feudi del Piscotto/Planeta g) Diversa pressione dell’anidride carbonica/Diversi vitigni/Diverso formato della bottiglia h) Bolgheri/Chianti Classico/Montalcino i) Glera/Pinot Bianco/Prosecco l) 70%/80%/90% “Diplomi” a seconda del numero di risposte giuste: 10 = Resuscitato! Da 9 a 7 = Bravo discepolo Da 6 a 3 = Discepolo distratto Da 2 a 0 = Giuda! “Il vino ha dunque una vita più lunga della nostra? Ma noi, fragili creature umane, ci vendicheremo ingoiandolo tutto. Nel vino è la vita.” - Petronio Arbitro
2 Commenti
![]() Un quarto di secolo portato benissimo, festeggiata infatti quest’anno la 25a edizione della “Chianti Classico Collection”, ormai stabilmente alla Stazione Leopolda di Firenze, con numeri record sia per quanto riguarda i produttori presenti (186) con relative etichette in assaggio (659), sia per le presenze dei giornalisti italiani e stranieri (250) e degli operatori di settore (1800): ma i buoni numeri non si fermano qui, ben 37 milioni sono le bottiglie vendute nel mondo nel 2017, con gli Stati Uniti che si confermano il primo mercato estero su 130 (33%), seguiti dalla Germania (12%) e dal Canada (8%), mentre è comunque in crescita anche la richiesta interna (23%). Il Chianti Classico, il cui simbolo è il famoso Gallo Nero, è il vino prodotto nella zona geografica tra Firenze e Siena denominata “Chianti”, oggi con un’estensione di 70.000 ettari (due terzi coperti da boschi) di cui 10.000 vitati con altitudini tra i 200 ed i 700 mt, i cui confini furono stabiliti già nel 1716 dal Bando del Granduca Cosimo III de’ Medici quando vi era identità di nome tra territorio e vino; poi però, dagli inizi del XX secolo, venne prodotto un vino chiamato Chianti anche al di fuori della suddetta zona, costringendo il Consorzio di tutela, nato nel 1924 e primo in Italia, ad aggiungere il suffisso “Classico” nel 1932 proprio per distinguerne la provenienza. Nel 1984 il vino Chianti, formato da 8 sottozone tra cui quella “Classico”, ottenne la DOCG e finalmente, nel 1996, il Chianti Classico divenne una DOCG autonoma (cfr. la scorsa puntata) con un disciplinare diverso da quello del Chianti, ad esempio il minimo di uve Sangiovese è dell’80% in confronto al 70%, non è permesso l’uso di uve a bacca bianca (max 10% per il Chianti), sono diverse le rese per ettaro, le gradazioni alcoliche ed i tempi di affinamento; infine, nel 2016, è stata ufficializzata la candidatura del territorio Chianti a Patrimonio dell’Umanità Unesco. Tornando alla Collection, in Anteprima l’annata 2016, estate calda con pochissime piogge e con accentuate escursioni termiche notte/giorno che dovrebbero rendere i vini intensamente aromatici e di buona acidità favorendo quindi una precoce piacevolezza di beva, e la 2015, ottima annata tout court, con le tipologie Riserva e Gran Selezione, ma in degustazione tante altre annate a scelta dei produttori, in particolare ben 92 Gran Selezione, la tipologia al vertice della piramide qualitativa. Il mio filo conduttore per gli assaggi è stato duplice, andare alla scoperta delle aziende della zona da me meno conosciuta, quella di Castelnuovo Berardenga che si estende nella parte sud orientale del Chianti Classico, con dolci colline dagli ampi spazi e un clima caldo e molto luminoso, dove il colore predominante in fioritura è un giallo acceso con terreni generalmente adatti alla produzione di vini potenti e longevi, ed approfondire la conoscenza del territorio, Gaiole in Chianti, appena più a nord del precedente, da dove provengono la maggior parte dei miei vini preferiti. Tra i conosciuti di Berardenga, sempre ottimi i vini di Castell’in Villa, annata 2013 e Riserva 2011 (se non altrimenti specificato 100% Sangiovese), vini che per scelta aziendale escono sempre diversi anni dopo quanto previsto dal disciplinare, riconoscibili per lo stile armonico ed elegante dovuto a macerazioni medio-lunghe e affinamenti in legno grande, complessi e longevi; poi già gradevole tutta la batteria dei vini di Dievole, annata 2016, Riserva Novecento 2015 (entrambe con piccole percentuali di Canaiolo e Colorino) e Gran Selezione Vigna di Sessina 2015, dagli intensi aromi di frutta rossa matura e note speziate, di corpo con tannini equilibrati e bella spalla acida. Tra le new entries mi sono particolarmente piaciuti 2 vini della Tenuta di Arceno, l’annata 2015 (15% Merlot) e la Riserva Strada al Sasso 2012, della Fattoria di Petroio l’annata 2015 (5% Malvasia Nera 5% Colorino), la Riserva 2014 e l’IGT Poggio al Mandorlo 2015, interessanti anche i vini di Oliveira, Campo di Mansueto 2016 (10% Canaiolo 10% Colorino) e Gran Selezione 2013 ed infine da riassaggiare con più calma gli intriganti vini di Vallepicciola, 2015 annata e Riserva. E veniamo ai miei preferiti di Gaiole, ad iniziare dalla Gran Selezione Castello di Brolio 2013 (5% Cabernet Sauvignon 5% Petit Verdot) di Barone Ricasoli, poi Vigna Farsina 2011 de I Sodi, La Gioia 2014 di Riecine, le Gran Selezione 2013 Stielle di Rocca di Castagnoli e Vigneto San Marcellino di Rocca di Montegrossi, per finire col mio miglior assaggio in assoluto, la Gran Selezione Millennio 2010 del Castello di Cacchiano, Cru aziendale da sole 6000 bottiglie, 1 mese di macerazione sulle bucce e 5 anni di invecchiamento in legno tra piccole botti da 20 hl, barriques e tonneaux di rovere francese, al naso è un concentrato di prugna matura, ciliegia, spezie dolci, poi liquirizia, cioccolato e tabacco, al palato una piena e corposa rotondità, con tannini ben integrati in una bella cornice acida, un elemento minerale sul finale dalla lunga persistenza. Delle altre zone, eccellenti sia i vini di Castellare di Castellina con I Sodi di San Niccolò 2014 (15% Malvasia Nera) sugli scudi che la Riserva Il Poggio 2013 (5% Colorino) ed il Fabrizio Bianchi Sangioveto Grosso 2012 del Castello di Monsanto (Barberino Val d’Elsa). “Nessuno conosce il futuro: quello che vi serve è del vino, dell’amore e del riposo a piacere” - Omar Khayyâm
![]() La mia seconda anteprima del nutrito mese di febbraio è stata quella svoltasi domenica 11 febbraio alla Fortezza da Basso, “Chianti Lovers”, promossa dal Consorzio Vino Chianti, DOC dal 1967 e DOCG nel 1984; poi nel 1996 alla sottozona “Classico” (quella che copre il territorio tra Firenze e Siena) è stata riconosciuta una propria specifica DOCG, pertanto oggi il disciplinare del Chianti prevede 7 sottozone di denominazione, Colli Aretini, Colli Fiorentini, Colli Senesi, Colline Pisane, Montalbano, Montespertoli e Rùfina (oltre a due tipologie, Riserva e Superiore), con oltre 3.000 produttori sparsi su più di 15.500 ettari di vigneto per una produzione complessiva di 840mila ettolitri per 110 milioni di bottiglie, con circa il 70% della produzione destinata ai mercati esteri. Oltre 100 aziende hanno portato in degustazione circa 500 diverse etichette ed un plauso va all’organizzazione perché l’apertura mattutina dedicata agli operatori di settore/stampa prima di quella al pubblico delle ore 16, ha permesso di fare assaggi in tranquillità ai banchi e nella sala dedicata con servizio di Sommelier, vista la successiva “ondata” dei 4.000 winelovers (il doppio rispetto alla scorsa edizione) che hanno decretato il grandissimo successo della manifestazione. Per la prima volta vi è stata una partnership con il Consorzio Tutela del Vino Morellino di Scansano, nato nel 1992, che celebrava i 40 anni della denominazione, presente con le stesse annate in Anteprima del Chianti, la 2017 (nessuna già in commercio) e la Riserva 2015 di oltre 20 aziende, potendo così accostare l’espressione del Sangiovese in Maremma con quello degli altri territori, pur nella diversità di suoli e disciplinari, ad esempio quello del Chianti prevede un minimo di Sangiovese del 70% (75% per i Colli Senesi) mentre quello del Morellino almeno dell’85%. ![]() La tormentata annata 2017 è stata molto siccitosa e con gelate che hanno ridotto la produzione, a seconda delle zone, fino al 30-40% pur mantenendo probabilmente una più che buona qualità (almeno ad intuire dagli assaggi) mentre la 2015 fu un’ottima annata i cui risultati iniziano adesso a vedersi. Caratteristiche del vino Chianti sono un vivace colore rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento, dal sapore armonico, asciutto, sapido, leggermente tannico, dal profumo intensamente vinoso, talvolta con sentori di mammola; può essere consumato, per qualche tipologia, come vino giovane, fresco e gradevole al palato, ma in alcune zone, Rùfina su tutte, è nota la sua vocazione ad un medio e lungo invecchiamento fino a 30 anni, che aggiunge al vino più personalità, rendendolo più elegante e rotondo nel sapore, più complesso nei profumi, più intenso nel colore. Per questo motivo i miei assaggi si sono maggiormente concentrati su quella zona alle pendici dell’Appennino Tosco Romagnolo a nord-est di Firenze, già nominata come Pomino tra le 4 regioni più vocate per la produzione del Chianti nel Bando del Granduca Cosimo III de’ Medici del 1716, ad oggi la più piccola (12.500 ettari, 22 produttori di cui metà già in regime biologico, per 3 milioni e mezzo di bottiglie) e la più alta delle 7 sottozone, con vigneti fino a 400 ed oltre mt di altitudine, dal microclima ottimale soprattutto nei mesi estivi con alte temperature diurne e notti fresche che favoriscono spiccate acidità e con correnti d’aria che penetrando nelle valli asciugano l’umidità. Varie conferme e qualche piacevole scoperta, tra le prime il Chianti Superiore 2016 ed il Chianti Rufina Riserva Lastricato 2013 100% Sangiovese del Castello del Trebbio, una delle aziende del Gruppo Casadei che abbraccia la filosofia BioIntegrale per la produzione dei vini di qualità, con parziali fermentazioni in anfore di terracotta prima dell’affinamento per 30 mesi tra botti di rovere e tonneaux ed 1 anno in bottiglia, poi le Riserve (minimo 2 anni di affinamento dal 1° gennaio successivo alla vendemmia, di cui almeno 6 mesi in legno) 2015 e 2011 di Colognole, ancora le Riserve 2015 e Bucerchiale 2013 di Selvapiana, la Riserva Nipozzano Vecchie Viti 2014 di Frescobaldi ed infine il Cedro Riserva 2013 ed il Grand Cru Ludiè 100% Sangiovese (vedi puntata 151), affinato 2 anni in barriques nuove e almeno 18 mesi in bottiglia della Fattoria di Lavacchio. Nuovi e piacevolissimi assaggi quelli dei vini prodotti nella Tenuta di Bossi di proprietà dei Marchesi Gondi, in particolare la Riserva 2013 Pian dei Sorbi e soprattutto la Riserva 2012 Villa Bossi, 80% Sangiovese ed il restante tra Colorino e Cabernet Sauvignon, 1 anno in botti di rovere di Slavonia da 25 hl, un altro in barriques ed ulteriori 2 in bottiglia, grande impatto olfattivo, more, amarene, note dolci speziate, liquirizia e caffè, sfumature balsamiche, pieno e di grande struttura in bocca dal lungo finale. Altri nuovi prodotti ben apprezzati i Chianti Rùfina di Frascole, sia l’anteprima della Riserva 2015 che la Riserva 2013, purtroppo non ho potuto approfondire la conoscenza dell’azienda per la momentanea mancanza del produttore, ma ormai è nel mirino, mi rifarò alla prossima occasione. Delle altre sottozone, segnalo il Chianti Riserva 2013 della Fattoria Dianella (Montalbano), la Riserva 2005 di Montaioncino (Empoli) ed i Chianti “Governo” di Melini (Colli Senesi). “Se non vuoi avere problemi, comincia ogni pranzo con un bel bicchiere di vino.” – R.S.S.
![]() Come ogni anno il mese di febbraio è dedicato alle Anteprime delle DOC e DOCG toscane e la prima a cui ho partecipato è stata quella del Nobile di Montepulciano nella suggestiva location della Fortezza di Montepulciano, sempre più cuore del Consorzio di tutela grazie alla recente apertura dell’Enoliteca Consortile, dove è possibile conoscere i vini di tutte le aziende associate con una stupenda vista panoramica sulla Val di Chiana e la Val d'Orcia. In quest’ultimo anno vi è stato però molto fermento all’interno della denominazione che, nonostante il Nobile sia stato il primo vino italiano a potersi fregiare della D.O.C.G. nel 1980 (fascetta AA 000001), appare un po’ in crisi di identità, stretta tra la rilevanza mondiale assunta dal Brunello, la storicità del Chianti Classico e la sempre più emergente zona di Bolgheri, oltre all’insuperabile problematica della omonimia tra il paese di Montepulciano ed il vitigno Montepulciano, coltivato in tutt’altri luoghi; in più non ha certo giovato la modifica del disciplinare del 2010 che ha diminuito la quota minima del Sangiovese dall’80 al 70% e permesso per il restante 30% sia vitigni autoctoni che internazionali, creando in tal modo una vasta eterogeneità stilistica nella produzione dei vini, dovuta anche alle diverse possibilità di affinamento (minimo due anni a partire dal 1° gennaio successivo alla vendemmia, tre per la Riserva) tra legno (24-18-12 mesi), bottiglia o altri recipienti. Proprio questa mancanza di riconoscibilità comune è alla base della nascita di due distinte associazioni di produttori che, pur non staccandosi dal Consorzio, cercano altre strade per arrivare ad una nuova e superiore identificazione qualitativa del vino Nobile: la prima in ordine temporale, “Alliance Vinum”, intende promuovere un Nobile prodotto solo con uve Sangiovese per dimostrare che anche quel terroir può regalare eccellenze come a Montalcino, l’altra, “TerraNobile Montepulciano”, si è data regole tecnico-produttive molto più stringenti dell’attuale disciplinare creando inoltre due nuove menzioni per vini di assoluta qualità, una Sangiovese in purezza, l’altra uvaggi tradizionali quando le specificità microterritoriali lo consentono. Sarà il tempo ad attestare se a queste iniziative corrisponderà una maggiore visibilità ed apprezzamento del mercato, a titolo personale non posso che guardarle speranzoso di questo e nel frattempo continuare a godermi l’ottimo rapporto qualità/prezzo delle bottiglie di Nobile. Tornando all’Anteprima, grande successo di pubblico con oltre il 30% in più di presenze rispetto all’ultima edizione, ma record anche di aziende partecipanti (45), che hanno proposto, oltre l’annata 2015 (5 Stelle, calda, secca e soleggiata fino ad agosto con settembre e ottobre leggermente più freschi del solito che hanno permesso una maturazione ottimale) e la Riserva 2014 appena uscite o in uscita, anche altre annate più vecchie per la gioia dei palati degli astanti. In generale ho trovato vini di una buona qualità media, dalle intense espressioni aromatiche e di bella freschezza, senza però grandi acuti, ma del resto le grandi annate hanno bisogno di molto tempo per esprimersi al meglio. I miei migliori assaggi dell’annata 2015 sono stati quelli di Nottola, di Poliziano, di Boscarelli e poi ancora la Selezione Asinone di Poliziano e la Selezione 142-4 di Metinella. Di due giovani aziende mi sono poi piaciuti più vini, della prima, Romeo, probabilmente la più piccola della denominazione con 6 ettari a coltivazione biologica (dal 2008) per una produzione di 25.000 bottiglie, due annate 2012, la Riserva dei Mandorli e soprattutto il Cru Lipitiresco, 100% Sangiovese, 18 mesi in tonneaux più altri 12-18 in bottiglia a seconda dell’annata, profumi tipici di violetta, ciliegia ed erbe aromatiche, di grande sostanza con tannini ben presenti e dalla lunga persistenza; della seconda, Palazzo Vecchio, 22 ettari per circa 50.000 bottiglie, la Riserva 2012 ed il Nobile Terrarossa 2013, da uve Sangiovese selezionate nella vigna più vecchia solo nelle migliori annate ed affinate 2 anni in botti di rovere francese più minimo 6 mesi in bottiglia, di un rosso rubino intenso, ricchezza olfattiva con note anche speziate, buona trama tannica in un gusto pieno e saporito. E poi ci sono gli evergreen, vale a dire assaggi che di anno in anno confermano la bontà del prodotto, non tradendo mai le mie aspettative, come Boscarelli Riserva 2013, La Ciarliana Vigna Scianello 2010, Dei Riserva Bossona 2011, Salcheto Salco 2012 ed infine i vini di Montemercurio, Messaggero 2012, Damo 2009 e 2011 e, per finire in dolcezza, lo strepitoso Vin Santo 1990, mix di vari vitigni dai sentori di frutta secca, fico, scorza di arancia candita e miele, dal lunghissimo finale. “Se il vino sparisse dalla terra, nella salute e nell'intelligenza dell'uomo si formerebbe un'assenza molto più spaventosa di tutti gli eccessi dei quali il vino è fatto responsabile” - Charles Baudelaire
![]() Un’Anteprima storica, quella svoltasi sabato 3 febbraio 2018 al Palazzo della Gran Guardia di Verona dedicata a stampa e media, poiché si celebravano i 50 anni della DOC Valpolicella, promulgata nel 1968 nella quale era compreso anche l’Amarone, divenuto poi DOCG nel 2010. Attualmente il Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella, nato nel 1924, rappresenta oltre l’80% dei produttori della denominazione che comprende le DOC Valpolicella e Valpolicella Ripasso e le DOCG Amarone della Valpolicella e Recioto della Valpolicella, per una produzione totale di più di 60 milioni di bottiglie (13 di solo Amarone e 3 di Recioto), destinate per circa il 70% all’estero, con un incremento di valore nel 2017 del 10% ed addirittura del 20% sul mercato italiano. La zona di produzione, lungo tutta la fascia pedemontana della provincia di Verona, va dal lago di Garda fino al confine della provincia di Vicenza, ed è suddivisa, da disciplinare, in tre zone, dove il microclima ed il territorio di colline e vallate caratterizzano distintamente l’espressione dei vini: la sottozona più antica è quella “Classica”, comprendente i comuni di Sant’Ambrogio di Valpolicella, San Pietro in Cariano, Fumane, Marano e Negrar, la “Valpantena” comprende l’omonima valle e la zona più ad est, “Doc Valpolicella”, si estende sulle valli di Illasi, Tramigna e Mezzane. Peccato che all’Anteprima non fossero presenti le 13 aziende, Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Torre D’Orti, Venturini e Zenato, che si sono staccate dal Consorzio formando un’altra associazione, “Famiglie Storiche” (ex Famiglie dell’Amarone d’Arte), per divergenze sulla modifica del disciplinare di produzione, quando fu consentita la produzione dell’Amarone anche in zone di pianura precedentemente escluse. Ognuno dei 70 produttori presenti poteva portare l’anteprima dell’annata 2014 più un’altra annata a sua scelta ma, dato che la maggior parte, a causa delle difficoltà in vendemmia causate da una copiosa e lunga piovosità nell’arco dei mesi, un’estate fredda ed una maturazione più o meno completata solo a partire dal miglioramento climatico della seconda metà di settembre, pur di non compromettere il proprio stile identitario non l’avevano prodotta declassificando le uve da Amarone a Valpolicella, oppure non l’avevano ancora imbottigliata, alla fine sono stati molteplici gli assaggi di ben due vecchie annate lungo il tour degustativo, regalandomi notevoli soddisfazioni. Pochissimi dunque gli assaggi convincenti di questa annata, dal profilo che punta più sulla freschezza piuttosto che sulla struttura, con qualche durezza ancora da smorzare: curiosamente i miei migliori tre corrispondono ad aziende che, come vino a piacere, hanno portato bottiglie memorabili, top dell’intera manifestazione, nello specifico Ca’ Rugate con “Punta Tolotti” 2014 e l’Amarone del 2007, Conte Archi con “Gli Archi” 2014 e la Riserva “IS” del 2012 ed infine Villa Spinosa con l’Amarone Classico del 2014 ed il Classico “Guglielmi di Jago 20 anni” del 1998, da uve Corvina Veronese, Corvinone, Rondinella, Molinara e piccole percentuali di altri vitigni autoctoni, affinato un anno in barrique, altri 12 in botti di rovere di Slavonia e poi ancora 12 mesi in bottiglia (quella da me bevuta circa 6 anni..), di un rosso granato carico, sentori immediati di frutta matura da confettura e/o sotto spirito, poi cacao, tabacco e note balsamiche, sorso complesso di ottima struttura elegantemente equilibrato tra morbidezza alcolica e decisa tannicità. Di diverse aziende mi sono piaciuti entrambi gli Amarone, come il “Santi” 2013 ed il “Proemio” 2011 di Santi nella zona Classica, i “Campo delle Strie” annate 2011 e 2006 della Tenuta Chiccheri in Val d’Illasi, il “Bosan” (Cru nella zona Classica) 2001 e la Riserva Bosan 2008 di Gerardo Cesari ed i “Pietro dal Cero” 2011 e 2008 dal vigneto Luxinum nella Valpolicella orientale di Ca’ dei Frati. Ma l’azienda che ha fatto bingo con entrambe le proposte è stata Zýmē, “lievito” in greco, elemento simbolico che richiama la naturalità ed il fermento, inteso come attitudine continua alla trasformazione: già dal logo, una foglia di vite in cui è inscritto un pentagono, simbolo dei cinque elementi principali (uomo-vite-terra-sole-acqua) per la produzione del vino è chiara la filosofia aziendale, produrre vini secondo pratiche ecosostenibili nel rispetto della biodiversità e dei tempi della natura: degustato l’Amarone della Valpolicella Classico del 2011 e del 2003 (Corvina 40%, Corvinone 30%, Rondinella 15%, Oseleta 10%, Croatina 5% da vigneti di 20-50 anni) che dopo l’appassimento naturale delle uve per almeno 90 giorni ed una macerazione sulle bucce per oltre 2 mesi, affina minimo 5 anni in botti di rovere di Slavonia più un anno in bottiglia. Già il 2011, dal grande profilo aromatico, regalava una sensazione gustativa di grande avvolgenza e complessità, ma il ben più evoluto 2003, dalle sfumature di frutta scura ed uva secca, note balsamiche e aromi speziati, accarezzava suntuosamente il palato con grande eleganza ed una lunga persistenza gustativa, miglior assaggio in assoluto. “Sia benedetto chi per primo inventò il vino che tutto il giorno mi fa star allegro”
Cecco Angiolieri ![]() Riprendendo il filo della scorsa puntata, dopo l’assaggio di bollicine e vini bianchi nella Sala Mappamondo del Palazzo Comunale, mi sono trasferito al Grand Hotel Continental, dove, tra le varie proposte presenti, mi hanno particolarmente intrigato i vini dell’azienda biologica Palmento Costanzo, alle pendici del versante Nord dell’Etna in Contrada Santo Spirito a Passopisciaro (Passari pi sciari = “passare per le sciare”, gli accumuli di lava e materiale vulcanico delle numerose colate laviche nel corso dei secoli che danno vita ad un terroir unico), con 10 ettari di vigneti, anche a piede franco pre-filossera, tra i 600 e gli 800 mt; in cantina tutto il processo di lavorazione delle uve si svolge “per gravità”, iniziando dal livello dove le uve vengono pressate nei tini di fermentazione per poi “cascare” nelle sottostanti vasche di acciaio ed infine nella bottaia (presenti anche 4 botti ad uovo da 2000 litri, in cui il bâtonnage, per questa particolare forma, in fase di fermentazione è naturalmente continuo senza interventi esterni) per l’affinamento, vale a dire che non vi è uso di pompe che trasportano il vino, riducendo in tal modo al minimo lo stress del mosto. I vini, tutti Etna doc, si dividono in due linee: Sei (in onore del sesto Sito Unesco in Sicilia), idea di Etna in perenne evoluzione e Mofete, linea classica, in cui l’unica similitudine è il blend, 70% Carricante e 30% Catarratto per il Bianco e 80% Nerello Mascalese e 20% Nerello Cappuccio per il Rosso, differenziandosi poi in favore della linea Sei sia per le rese per ettaro (la metà più basse), sia per le viti più vecchie dalle quali viene prodotta, sia per l’affinamento, ben più lungo e complesso. Nonostante questo, il vino che ho trovato più pronto da bere è stato il Mofete Rosso 2015, affinato un anno in acciaio e 6 mesi in bottiglia, dall’elegante sapidità in un sorso succoso dai sentori speziati e lavici, mentre il Nero di Sei 2014, affinato 2 anni in botte di rovere francese da 30 e 50ha ed un anno in bottiglia, dalle note fruttate e minerali con un finale ammandorlato credo che possa equilibrare al meglio la sua corposità in elegante morbidezza riposando ancora un po’ in bottiglia. Prima di uscire dal Continental, ho visitato la sottostante nuovissima e bellissima Wine Cellar con oltre 3000 bottiglie ricavata all’interno di una piccola torre medievale del XIV secolo, progettata da Luca Maroni contrapponendo elementi moderni come il vetro e l’acciaio all’antica pietra della torre. Nella spettacolare Rocca Salimbeni, sede centrale del Monte dei Paschi di Siena, erano allocate tutte le aziende toscane e qui è stato davvero difficile scegliere cosa degustare, tra una moltitudine di vini famosi e premiati, non tralasciando però la scoperta di nuove piccole realtà, come la Fattoria Le Fonti a Poggibonsi, al confine occidentale del Chianti Classico, con 16 ettari vitati su 23 all’interno della denominazione e gli altri sotto il Chianti Colli Senesi: “qualità e tipicità” le parole d’ordine per la produzione dei vini 100% Sangiovese, come il Chianti Classico 2014, già molto godibile sia all’olfatto che al gusto e soprattutto il Cru aziendale Vito Arturo (dedicato al fondatore) IGT 2013, 16 mesi in barriques traendo “ispirazione” anche dai canti gregoriani che si elevano in cantina, ed un anno in bottiglia, dagli immediati sentori terziari che poi virano su note fruttate e speziate, gusto caldo e pieno su un’armonica struttura dai tannini presenti ma non invadenti, lunga persistenza, gran bel vino! Da tempo non incontravo Alessandro Gallo, enologo nonché Direttore tecnico di 2 Tenute toscane della famiglia Zonin, Rocca di Montemassi in Maremma e lo storico borgo medievale di Castello di Albola nel territorio di Radda in Chianti, già appartenuto alle nobili famiglie toscane degli Acciaioli, Samminiati, Pazzi e Ginori Conti: di quest’ultimo, durante un’interessante chiacchierata su un possibile nuovo vino maremmano, ho degustato con grande piacere due vini 100% Sangiovese annata 2013, il Chianti Classico Riserva e la Gran Selezione Solatio, Cru il cui nome deriva dall’esposizione del piccolo vigneto a 600mt in pieno sole rivolto a sudest, affinato in barrique per 14 mesi e lungamente in bottiglia, vino di grande finezza e personalità, dalla vivace freschezza, austero ed elegante, rappresentante alla perfezione il connubio tra territorio e tradizione. Altri vini della stessa tipologia (Gran Selezione 2013 Sangiovese 100%) che ho trovato altrettanto superbi sono stati quelli del Castello di Radda (a Radda) ed il Giovanni Folonari delle Tenute Ambrogio e Giovanni Folonari (a Greve) e, cambiando denominazione da Chianti Classico in Carmignano Riserva, il Trefiano della Tenuta di Capezzana. Gli ultimi assaggi li ho infine dedicati al Brunello di Montalcino e, nonostante l’affaticamento delle pupille gustative, molti sono riusciti ugualmente a gratificarle, tra i migliori Il Marroneto 2012, P. 56 2012 della Tenuta Buon Tempo, la Riserva 2009 di Terre Nere Campigli Vallone, Vigna Spuntali 2012 di Val di Suga, la Riserva 2012 di Donatella Cinelli Colombini ed in cima alle mie preferenze ancora Donatella Cinelli Colombini con Progetto Prime Donne 2013, Val di Suga con Poggio al Granchio 2012 e Il Marroneto con la Selezione Madonna delle Grazie 2012. “Chi vuole tutta l’uva non ha buon vino” – Proverbio popolare
Il Calice di Corrado (155) - Wine&Siena, primo evento vitivinicolo del 2018 (Vini bianchi)25/2/2018 ![]() Con l’anno nuovo riprende tutto il giro delle manifestazioni, in particolare quello delle Anteprime delle più importanti denominazioni di origine, ma l’evento che ha aperto col botto l’anno vitivinicolo è stato quello che si è svolto nell’ultimo fine settimana di gennaio nella città del Palio, simbolo della viticoltura italiana con le sue 5 DOCG. Progettato da Gourmet’s International, ente organizzatore anche del Merano Wine Festival, il Wine&Siena ha riunito per la terza volta una selezione di eccellenze enologiche premiate dalla commissione d’assaggio di Merano con la certificazione di qualità, il WineHunter Award: tra sabato 27 e domenica 28 gennaio oltre 3000 winelovers si sono affollati nelle prestigiose locations dove circa 160 produttori in rappresentanza di 15 regioni italiane hanno portato più di 500 vini in degustazione, senza contare i vari showcooking e le quattro MasterClasses di approfondimento tenutesi nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università. Prima tappa il Palazzo Comunale in Piazza del Campo dove, tra la Sala della Pace e la Sala Mappamondo, oltre a poter godere della vista di famosi capolavori della pittura italiana (il più celebre la Maestà di Simone Martini, affresco del 1315 che occupa tutta la parete nord della Sala del Mappamondo), erano stati sistemati i banchi d’assaggio delle bollicine e dei vini bianchi. Riguardo alle prime, mi è davvero piaciuto lo stile di 3 Franciacorta, a base Chardonnay con percentuali variabili dal 10 al 25% di Pinot Nero, di un’azienda che ancora non conoscevo, Lantieri de Paratico, 20 ettari vitati a Capriolo (BS) per una produzione di circa 120.000 spumanti, con una linea comune di freschezza e mineralità, ampia aromaticità e polposità nel sorso, armoniosamente eleganti, con mia attuale preferenza per l’Extra Brut (24 mesi sui lieviti) rispetto al più complesso Riserva 2011 Origines (60 mesi e residuo da Nature, ancora un paio d’anni in bottiglia e diventerà un’eccellenza) e al Brut Millesimato 2013 Arcadia (42mesi), 3 Bicchieri Gambero Rosso, anch’esso in evoluzione. Con grande piacere ho poi (ri)assaggiato gli Champagne di Maxim Blin (alcuni già ben recensiti nella puntata 148), giovane e piccola Maison con 12 ettari a Trigny (10 km da Reims nel territorio della Montagne de Reims) dove vengono coltivati tutti e tre i vitigni per la produzione dello Champagne (50% Pinot Nero, 30% Pinot Meurnier e 20% Chardonnay.), riscontrando un’ancor maggiore qualità: già di alto livello il Brut Carte Blanche 2012 (80% Pinot Meunier e 20% Pinot Noir) con il 40% da vini di riserva, intenso al naso e fresco e strutturato in bocca, ma gli altri 3 erano ancora superiori, ad iniziare dalla Cuvée Grand Tradition Brut 2011 (90 Chardonnay 10 Pinot Noir) dai sapidi toni agrumati, passando per la Cuvée Maxime 2011 (un terzo per ciascun vitigno) dalla succosa acidità ed arrivando al miglior assaggio in assoluto, il Brut Millesimo 2005 100% Pinot Noir, di un intenso giallo dorato con delicate note di frutta secca, miele e brioches, complesso ed armonico nella sua finezza. Sul versante dei vini bianchi, ho trovato particolarmente interessanti due aziende marchigiane della zona del Verdicchio dei Castelli di Jesi di cui la prima è Vignamato, che nei 13 ettari piantati a Verdicchio, distribuiti su distinti appezzamenti con diverse caratteristiche, ne produce ben 5 etichette, tre delle quali portate in degustazione: l’unica che fermenta ed affina poco più di un anno in barrique per il 40% e successivamente oltre 6 mesi in bottiglia è l’Ambrosia Riserva 2013, che già dal colore rende onore al proprio nome con un giallo paglierino dorato con riflessi verdognoli, un esteso bouquet di profumi dalla frutta matura ed esotica fino alla mandorla ed una lunga persistenza sorretta da acidità e mineralità, mentre le altre 2 bottiglie, il Classico ed il Versiano Classico Superiore 2016, fermentano ed affinano solo in acciaio giocando maggiormente su una più immediata gradevolezza e freschezza di beva. L’altra azienda è Casaleta, nei cui 11 ettari di vigneti di Verdicchio vi sono anche piante di circa 80 anni, custodite con cura riproducendo dalle loro marze i cloni del vecchio ecotipo di Verdicchio, vero patrimonio territoriale; in cantina vengono utilizzati piccoli serbatoi di acciaio tenendo separate le vendemmie, effettuate in più passaggi, dalle varie zone del vigneto per ottenere tipologie di prodotti dalle diverse caratteristiche, ad esempio il Castijo 2014, dopo 6 mesi in botti di acciaio e 2 in bottiglia, ha profumi di frutta fresca, pesca, mela ed albicocca con una bella vivacità di gusto, mentre il Classico Superiore La Posta 2013, affinato il 50% di tempo in più, rilascia anche note agrumate ed un leggero sentore di idrocarburi in un sorso più pieno e corposo. Infine la Riserva Barasta 2013, dalla bassissima produzione per ettaro che fermenta ed affina un anno in barriques con ripetuti bâtonnage e 6 mesi in bottiglia, aumenta la gamma aromatica da fiori e frutta bianca fino ai sentori balsamici, regalando un persistente sorso in armonia tra acidità, grassezza, corposità e sensazioni saline-minerali dal finale ammandorlato. "Bevete del vino in inverno perché fa freddo, e d’estate perché fa caldo” - Henry George Bohn
![]() L’ultima manifestazione di rilievo dell’anno 2017 a cui ho partecipato è stata “Calici sotto l’albero”, organizzata per la settima volta dall’Associazione Culturale Enogastronomica senza scopo di lucro “Sauro & Gianni Sommeliers”, con sede a Villa Adami a San Piero a Sieve (FI) dal novembre 2011 attiva nell’organizzare degustazioni guidate, pranzi e cene con abbinamento di vini, gite enoturistiche di uno o più giorni e corsi di avvicinamento al vino, oltre al sopracitato evento clou dell’anno. L’iscrizione è totalmente gratuita, si richiede solamente un’unica presenza annuale ad una delle numerose iniziative, per avere un’idea più precisa consiglio di dare un’occhiata al loro sito internet http://www.sommeliersauroegianni.com, a me dispiace unicamente di averli conosciuti solo da pochi anni, mi sono perso tante cene e gite a cui avrei partecipato più che volentieri! Tornando a “Calici sotto l’albero”, svoltasi nuovamente nella sala più grande dell’Hotel Albani in via Fiume a due passi dalla Stazione SMN, ogni anno aumentano le aziende selezionate e di conseguenza le etichette sui banchi, ma la qualità rimane sempre molto alta, quest’anno erano presenti personalmente quasi 50 produttori per un totale di circa 230 vini, con la possibilità, come di consueto, di acquistare direttamente le bottiglie. Il mio girovagare è consistito nell’andare a colpo sicuro su alcune aziende che ormai conosco e soprattutto riconosco di ottimo livello, scoprire nuove realtà ed infine approfondire la conoscenza di altre, assaggiando tutta la produzione e non solo il vino di punta. Sul primo versante, degli spumanti metodo classico della doc Lessini Durello dell’azienda veneta Sacramundi ho degustato, oltre all’imperdibile Riserva Classico 36, anche la novità “Lovara” Brut, sempre 100% uva Durella, 18 mesi sui lieviti, dalla beva fresca e croccante, note citrine e spiccata mineralità, altro prodotto ben riuscito; buoni entrambi i Cru (Pietrarossa e Mulinvecchio) del Nobile di Montepulciano di Contucci con mia preferenza per la Riserva, tutti 80% Prugnolo gentile, 10% Canaiolo nero e 10% Colorino dell’annata 2013; di livello l’Amarone della Valpolicella Classico di Flatio Veneto, mentre di 3 aziende ho riscontrato un vino ottimo ed uno ancora superiore, di Lisini il Brunello di Montalcino 2012 e l’Ugolaia 2011, di Silvano Bolmida il Barolo Bussia 2013 e la Riserva 2011 e di Cagliero il Barolo Ravera Riserva 2008 ed il Barolo Chinato, particolare vino da dessert aromatizzato con erbe e spezie di cui magari parlerò più specificamente in futuro. Tra i nuovi assaggi ho trovato parecchio interessanti i vini della zona di produzione del Verdicchio di Matelica Doc dell’azienda bio Borgo Paglianetto, sia l’Ergon ma in particolare il Vertis, affinato 8 mesi in acciaio e a lungo in bottiglia, dalle raffinate note di fiori bianchi ed erbe aromatiche, asciutto e sapido in bocca con finale ammandorlato; tipicità territoriale poi nei vini da viticoltura eroica dell’azienda ligure Berry and Berry, il Baitinin, blend di Pigato e Vermentino da vitigni di 40 anni, ed il Campulou, 100% Pigato, entrambi fermentati in acciaio da cui una bella freschezza con note saline, ma il secondo con un anno di invecchiamento in bottiglia che conferisce una maggiore complessità sia olfattiva che gustativa; gran bei vini anche il Chianti Classico e la Riserva 2012 dell’azienda Solatione a Mercatale Val di Pesa, meriteranno un’analisi più ampia l’anno venturo. Infine ho avuto modo di conoscere più a fondo una chicca enologica nel cuore del Chianti Classico, la Società agricola I Sodi, situata nella frazione Monti di Gaiole in Chianti, nei cui 12 ettari, esposti al sole per tutto il giorno e riparati da boschi e colline, si crea un perfetto microclima per vini di eccellente qualità: già il Chianti Classico 2014 (93% Sangiovese, 7% Canaiolo), nonostante l’annata non certo favorevole, con i suoi aromi fruttati invita alla beva che si rivela ben fresca e succosa, la Riserva 2013 (2% in più di Sangiovese) poi, dopo un affinamento di almeno 2 anni, di cui 16-18 mesi in piccoli fusti di rovere e successivi 9 mesi di affinamento in bottiglia, amplia la gamma aromatica con tabacco, liquirizia, vaniglia e pepe nero, regalando un sorso di piacevole polposità. A seguire i due superbi Supertuscan (tecnicamente IGT): il Soprasassi 2012, prodotto solo nelle migliori annate dalle vigne più antiche (35 anni) di Canaiolo, antico vitigno autoctono che nell’assemblaggio conferisce morbidezza al Sangiovese, qui invece in purezza, dopo una lunga macerazione per 20 giorni invecchia oltre 3 anni (di cui 2 in piccoli fusti di rovere) e viene imbottigliato senza filtrazione, grande armonia in bocca tra sensazioni fruttate e croccantezza dei tannini, ed il Vigna Farsina 2011, già vincitore della Medaglia d'oro a Mundus Vini 2017, 100% Sangiovese dalla vigna più antica (40 anni), vinificato come il Canaiolo ma con più lungo affinamento, si apre con aromi di amarena, prugna, liquirizia e tabacco, caldo e avvolgente in bocca con i suoi tannini sottili ma ben presenti, pieno, ricco, estremamente gustoso ed elegante. “Il vino è il più certo e (senza paragone) il più efficace consolatore” – Giacomo Leopardi
![]() Riprendo da dove avevo lasciato in sospeso la scorsa puntata, i miei migliori assaggi di vini bianchi: un’altra azienda marchigiana che produce un interessante Verdicchio è La Monacesca, in provincia di Macerata nel cuore del territorio del Verdicchio di Matelica, dove la lontananza dal mare e le altitudini fonti di maggiori escursioni termiche rispetto alla zona del Verdicchio dei Castelli di Jesi marcano la differenza soprattutto nei primi anni di vita, quando i vini di Matelica possono scontare un po’ di scontrosità, ampiamente ripagata però da una futura grande evoluzione: è il caso del Verdicchio di Matelica (da uve surmature) Riserva DOCG Mirum 2015, da poco in bottiglia dopo 18 mesi in acciaio e sei in bottiglia, ancora molto tagliente ma assai intrigante. Detto che non sono riuscito a comprare l’aromatico ed agrumato Kerner di Weingut Unterhofer (Caldaro-BZ) per esaurimento delle disponibilità già a fine mattinata (sigh..) e che il Pinot Grigio ed il Friulano di Silvano Ferlat (Cormons-GO) erano perfettamente in linea con gli splendidi ricordi della visita in cantina dell’ottobre scorso, un batteria di vini di assoluto livello è stata quella dell’azienda friulana a conduzione biologica e dal 2015 biodinamica Aquila del Torre, a Savorgnano del Torre (UD) sui Colli Orientali del Friuli, di cui avevo memoria dall’evento Vinoé. Già il Primaluce (da una particella esposta alla prima luce del giorno) Sauvignon Blanc, vitigno che comunque non è tra i miei preferiti, mi aveva stupito per i sentori tropicali abbinati ad una gustosa sapidità, poi anche l’interpretazione del Riesling (renano), vitigno che invece adoro, è stata di mio completo gradimento, sicuramente dovuto anche all’ottima evoluzione in bottiglia visto che si parla dell’annata 2010, ed infine il Friulano si è meritato un doppio assaggio grazie alla piacevolezza di una beva fresca e succulenta con un piacevolissimo finale leggermente amarognolo: tutti questi vini fermentano su lieviti indigeni e permangono più o meno tempo sulle fecce fini (sur lies), così da rispettare il più possibile le qualità varietali delle uve di origine, risultato pienamente raggiunto! E’ poi arrivato il momento dei rossi e qui, escludendo per ovvi motivi la Toscana, ho voluto assecondare il mio palato: senza pentimenti né rimpianti, Piemonte e solo Piemonte! Per quanto riguarda il (vitigno) Barbera, il più diffuso a bacca nera del Piemonte, nella tipologia Barbera d’Alba DOC mi è molto piaciuta la bevibilità dell’annata 2015 e del più maturo Superiore Alferi 2013 di Giuseppe Ellena dai suoi 5 ettari vitati a La Morra, così come le due etichette del 2015 dell’azienda agricola Sobrero Francesco dai 13 ettari a Castiglion Falletto, Selectio e La Pichetera “Superiore”, entrambe dalle note fruttate, floreali e speziate che donano una bevuta fresca e vivace, un po’ più complessa ed ampia nel secondo assaggio impreziosito da un lungo finale. Della Barbera d’Asti DOCG ho trovato particolarmente interessante il giovane e brioso ma insieme vellutato Mon Ross 2016 della prima azienda agricola (biologica) in Italia scelta nel 2007 come Oasi affiliata al WWF, il Forteto della Luja a Loazzolo (dove grazie al loro passito di Moscato Vendemmia Tardiva è stata creata nel 1992 l’apposita DOC Loazzolo); notevole anche la Barbera d’Asti “Vignali” dell’azienda Armangia, “rivincita” in dialetto piemontese, dall’ex sottozona “superiore Nizza” che dal 2014 si è distaccata ottenendo il riconoscimento di una propria DOCG, ma ancor di più, tra le loro bottiglie in esposizione, mi è piaciuta la pienezza di beva del “Macchiaferro”, prodotto con uve Albarossa (incrocio fra Chatus o Nebbiolo di Dronero e Barbera), vitigno poco conosciuto e ancor meno coltivato, ma a me assai congeniale (vedi puntata 28). Come migliori Barbaresco indico quelli di Massimo Rivetti, il cui motto “Produrre un buon vino significa trasformare uve di grande qualità” si traduce nel coltivare in sistema biologico i 25 ettari di vigneto, top di gamma il Froi, elegante e fruttato, ed il più strutturato e longevo Serraboella, selezionato Cru prodotto solo nelle annate migliori dalla vigna più vecchia di 60 anni, entrambi annata 2013 ed entrambi 2 Bicchieri Gambero Rosso. Ed infine “Il Re dei vini, il vino dei Re”, il Barolo: ancora un vino di Sobrero tra i mie preferiti, il Barolo Ciabot Tanasio (da uve di 3 Cru), ma il banco dove ho passato più tempo è stato quello dell’azienda Ciabot Berton, 12 ettari a La Morra, di cui ho assaggiato con piacere sempre crescente tutte le 4 etichette di Barolo, ad iniziare dal delicato “La Morra”, passando dal “Ciabot Berton 1961” 2013, con accenni minerali e note balsamiche, poi il mio preferito, il “Roggeri” del 2012, corposo con una struttura tannica robusta ma setosa, ed infine il “Rocchettevino” del 2011, dagli aromi speziati ed un’armonica complessità: insomma, una gustosissima esplorazione sulle varie interpretazioni di questo vitigno, ancora mi chiedo perché non ne abbia comprato scatole intere... “Un uomo non si sente mai completamente a suo agio, se non ha un bicchiere davanti a sé” - Jerome K. Jerome
![]() Sabato 25 e domenica 26 novembre scorsi si è svolta per la settima volta a Piacenza la Mostra Mercato della FIVI, acronimo di Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, il cui scopo è di rappresentare la figura del viticoltore di fronte alle istituzioni, promuovendo la qualità e autenticità dei vini italiani. Mia prima volta grazie alla Delegazione Fisar di Firenze che ha organizzato un pullman per poter partecipare all’evento senza doversi poi preoccupare del tasso di alcolemia previsto dal Codice della Strada, ma boom di presenze in assoluto, visto che dai 9.000 partecipanti della passata edizione si è giunti ai 15.000 di quest’ultima. Traspare entusiasmo anche dalle parole rilasciate dal Presidente della FIVI: “Siamo convinti che il successo crescente del Mercato sia la diretta conseguenza della credibilità che ci stiamo guadagnando a livello istituzionale, in Italia come in Europa. Abbiamo le scarpe grosse e il cervello Fivi, le mani nella terra e la testa rivolta a una causa comune”. Interesse quindi sempre crescente per i prodotti di questi vignaioli titolari di piccole aziende a conduzione familiare che, per poter far parte dell’associazione, devono rispettare alcuni criteri, come coltivare le proprie vigne ed imbottigliare il proprio vino vendendolo con proprio nome ed etichetta, non acquistare altre uve se non per estreme esigenze di vinificazione, rispettare le norme enologiche della professione limitando l’uso di additivi inutili e costosi e concentrando la propria attenzione sulla produzione di uve sane che non necessitino di trattamenti in cantina, in modo da creare un vino vera espressione del territorio. Più di 500 i vignaioli presenti in rappresentanza di tutte le regioni con circa 3000 etichette che non solo era possibile degustare, ma anche comprare direttamente ai banchi e portarsi dietro nei carrelli da supermercato lungo gli infiniti e larghi corridoi dell’enorme capannone dove erano sistemati i banchi d’assaggio con dietro i produttori davvero encomiabili perché, se è pur vero che la pubblicità è l’anima del commercio, non dev’essere così facile ripetere per due giornate di fila più o meno le stesse informazioni all’eterogeneo pubblico che via via si trovano di fronte: però a me, e penso a tante altre persone, fa piacere poter parlare, oltre che degli stretti dettagli sulla composizione di un vino, anche della storia e della filosofia aziendale per capire meglio cosa c’è di “personale” nella bottiglia e quando, nonostante la fila alle spalle che preme per avere il bicchiere riempito, riesco ad instaurare un certo feeling, beh...probabilmente anche i vini mi sembrano migliori! Dato che sono numerosi i vini che voglio ricordare, non mi dilungherò molto nelle descrizioni, iniziando la serie con i miei migliori assaggi di bollicine, quasi tutte Trentodoc. Nata nel 1990, nei suoi 10 ettari a Rovereto l’azienda Balter già produce spumanti di qualità come il Brut BdB (Chardonnay) e soprattutto la Riserva 2011 Pas Dosé (3 Bicchieri Gambero Rosso..) che aggiunge un 20% di Pinot Nero nell’affinamento di oltre 60 mesi sui lieviti; salendo poi sui pendii della Valle di Cembra troviamo 15 ettari tra i 500 e 800 mt. di proprietà dell’azienda Zanotelli dai quali vengono prodotte 14 etichette tra cui l’ottimo For 4 Neri Brut a base Chardonnay ed un sorprendente Riesling Linea Le Strope (i rametti di salice usati per legare la vite al suo sostegno). Davvero di livello superiore i vini della batteria di Bellaveder, 8 ettari ad agricoltura biologica nella Valle dell’Agide, in particolare i due spumanti Brut Riserva 2012 (Chardonnay) ed il debuttante Rosé Nature Riserva 2013 100% Pinot Nero, lo Chardonnay della Selezione Faedi fermentato in barrique e la riuscitissima espressione del Gewürztraminer 2016, fedele all’olfatto al varietale ma senza eccessi dolci in bocca grazie ad una equilibrante e gustosa sapidità. L’unica bollicina top dei miei assaggi al di fuori della denominazione Trentodoc è stato l’Extra Brut a base Verdicchio dei Castelli di Jesi dell’azienda marchigiana Broccanera, 45 mesi su lieviti ed un anno in bottiglia dopo la sboccatura prima della vendita, ma anche il fermo Cantàro merita attenzione, già intrigante nella sua gioventù mi sentirei di scommettere su una grande evoluzione. Ogni volta che li trovo non posso poi fare a meno di riassaggiare i vini dell’azienda valdostana Les Cretes, che ripagano sempre le mie aspettative, come stavolta sia il Petit Arvine vinificato in acciaio che lo Chardonnay Cuvée Bois, vinificato ed affinato “sur lie” per 11 mesi in rovere francese con “batonnage”, in pratica tramite una specie di bastone si rimescolano nella massa del vino le fecce depositatesi sul fondo della barrique allo scopo di conferire più intensità sia ai profumi che ai sapori. [segue] “Un po’ di vino lo stomaco assesta, offende il troppo vin stomaco e testa” – Proverbio popolare
![]() Bel traguardo quello raggiunto dal Florence Wine Event, manifestazione ideata ed organizzata da Riccardo Chiarini, presidente di Promowine, associazione di promozione della cultura eno-gastronomica attraverso l’organizzazione di eventi, incontri, degustazioni e comunicazione via web. Per questa dodicesima edizione svoltasi durante il weekend del 18 e 19 novembre 2017 nei locali del Vecchio Conventino c’è stato un ritorno ai luoghi di origine in Oltrarno, visto che le location dei primi anni furono Piazza e Palazzo Pitti con piazze attigue. Ormai classico il taglio popolare ed immediato della manifestazione durante la quale, oltre a potersi relazione direttamente con i produttori e non con i Sommelier addetti al semplice servizio, è anche possibile acquistare i prodotti in degustazione. Tante però le novità in cartellone, ad esempio oltre il 50% di nuove aziende partecipanti, tra cui molte a conduzione biologica e/o biodinamica da sempre al centro dell’attenzione degli organizzatori, vini e golosità pugliesi grazie ad una partnership con il Due Mari WineFest (evento che si svolge a Taranto) ed anche la possibilità di partecipare gratuitamente a ben tre degustazioni una più interessante dell’altra (difatti andate esaurite) guidate dall’istrionico Leonardo Romanelli, “I Syrah di Cortona”, “I Trebbiani, vini bianchi di una volta” e “I Cabernet Franc toscani”, a cui ho partecipato con enorme piacere data la mia passione per il suddetto vitigno. ![]() Tra i banchi netta la predominanza di aziende toscane, ma gli oltre mille winelovers partecipanti hanno potuto scegliere, tra l’offerta enologica di oltre 60 cantine per circa 300 bottiglie, anche tipologie di vini piemontesi, liguri, friulani, marchigiani e campani oltre ai pugliesi già citati. Il mio primo assaggio e prima grande sorpresa è stato il Marcello Colfondo 2014 dell’azienda biodinamica Voltumna (divinità etrusca del cambiamento di stagione) nel cuore del Mugello, pochi ettari di vigneti a 300mt di altitudine sull’Appennino Toscano, già ben conosciuta per le sue ottime espressioni di Pinot Nero in un territorio per così dire “alternativo”. Vino nato praticamente per caso, Marcello deve il suo nome alle uve di Sangiovese che, data l’annata 2014 fredda e piovosa, non erano riuscite a maturare, molte anzi erano quasi “marce”, così ai proprietari è venuta l’idea di vinificarle in bianco con una base acida di Pinot nero, facendo ripartire a primavera una fermentazione “ancestrale” in bottiglia con del mosto scongelato, senza successiva sboccatura né filtrazione: il risultato è stato un vino frizzante dai toni rosati che varia nell’aspetto visivo da inizialmente limpido, dovuto alla verticalità della bottiglia, ad una sempre maggior torbidezza man mano che viene versato nei bicchieri, ma la cosa più sorprendete è la continua variazione anche olfattiva e gustativa, passando da iniziali note di piccoli frutti di bosco a sentori di bergamotto e rimandi quasi animali, associazioni del tutto inusuali per le bollicine, comunque delicate e richiamanti un seguito di bevuta. Dopo questo primo vino ho assaggiato anche i restanti 5 della produzione aziendale ritrovando una lineare qualità, Pinot Grigio 2015 (vitigno introvabile in Toscana), Zeno 2015 (Sangiovese 85% e Pinot nero 15% con tempi di maturazione e fermentazione differenti e distinte, poi assemblaggio e maturazione per 2 anni in acciaio), Riserva Q 2012, Silene 2013 (Pinot nero in purezza proveniente dalla vigna più elevata) e Pinot Nero 2013 (vino più importante di grande eleganza e potenza). Altre due aziende dei cui vini avevo un buon ricordo in altre edizioni sono Cerreto Libri e Fattoria Lavacchio, entrambe con sede a Pontassieve nel territorio del Chianti Rufina: la prima, in regime biodinamico con vigne di oltre 40 anni, appena uscita dal Consorzio imbottiglia l’annata 2011, ottima espressione del proprio miglior Sangiovese, come Liber IGT (ex Chianti Rufina DOCG), ma anche il Canestrino 2014 (Trebbiano 90% e Malvasia 10%) ed il Padronale 2009 (Sangiovese 90% Canaiolo 5% Colorino 5%) meritano di essere menzionati; la seconda, a conduzione biologica, dopo due interessanti proposte di vini senza solfiti aggiunti tramite utilizzo di una speciale tecnologia in cantina, il Puro ed il Puro Riserva Chianti DOCG 100% Sangiovese, ottiene il mio riconoscimento di assaggio top della manifestazione (bissato e fors’anche triplicato..) con il suo Ludié, Sangiovese proveniente dal vigneto “La Vecchia in salita” impiantato nel 1963 e dedicato alla futura generazione familiare (LUna e DIEgo). Già dalla bottiglia satinata in nero si intuisce di trovarsi di fronte un vino importante, dal colore vivo e brillante, avvolgente al naso coni suoi profumi fruttati maturi e speziati, note balsamiche e sentori di cioccolato e tabacco, dalla grande freschezza in bocca con un ottimo amalgama tra tannini ed alcool, dalla beva piena e potente, ben strutturato e dalla lunga persistenza. “Amico e vino vogliono esser vecchi” - Proverbio popolare toscano
![]() E 8! Tante sono le edizioni dell’evento organizzato dalla FISAR di Livorno, ormai dal 2014 stabilmente presso gli ampi locali del Terminal Crociere al Porto Mediceo: l’ampia offerta enologica, ben 69 banchi d’assaggio con oltre 300 vini, più una quindicina di aziende ospiti in rappresentanza della FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), era inoltre completata da svariati show cooking, laboratori per bambini ed un reparto di gastronomia dove era possibile assaggiare ed acquistare di tutto, salumi, formaggi, confetture di frutta e miele, birre, prodotti da forno e pasticceria, olio e ancora altro. In vetrina la migliore produzione enologica della Provincia livornese e della Costa degli Etruschi, che il pubblico di appassionati, ben oltre 10.000 nelle due giornate di sabato 18 e domenica 19 novembre scorsi, ha particolarmente apprezzato, visto l’aumento del 30% delle presenze rispetto all’ultima edizione: vastissima dunque la scelta delle bottiglie, ad iniziare da etichette ormai conosciute in tutto il mondo come la DOC Bolgheri, DOC Bolgheri Superiore e DOC Bolgheri Sassicaia, prodotta dalla sola azienda Tenuta San Guido che possiede tutti i vigneti all’interno dell’area delimitata, proseguendo con vini della Val di Cornia e dell’Isola d’Elba e di Capraia, e poi ancora di territori meno rinomati ma non meno interessanti come Riparbella, Terratico di Bibbona, Montescudaio. Dato che l’anno scorso avevo privilegiato l’assaggio dei vini rossi, quest’anno sono andato più alla scoperta dei bianchi e devo ammettere che ne ho trovati moltissimi più che validi. Tra quelli prodotti solo con uve Vermentino mi ha davvero sorpreso per freschezza e gustosità di beva il 2016 dell’azienda sarda Olianas, in cui si sente la mano di Stefano Casadei, capofila in Italia per quanto riguarda la vinificazione in anfora (off topic, particolarissimo il suo Le Anfore Sangiovese del Castello del Trebbio-Rufina, 30 giorni di macerazione sulle bucce ed affinato 7 mesi in anfora): vino denominato “biointegrale”, filosofia che comporta il massimo rispetto delle viti e dei terreni (nessun diserbante, concime chimico o prodotto di sintesi, limitato uso di mezzi cingolati o di gomma sul terreno privilegiando l’uso di animali come i cavalli da tiro, concimazioni organiche e sovesci, vendemmia manuale con selezione delle uve direttamente in campo), in fase di vinificazione circa il 20% delle uve viene vendemmiato in leggero anticipo e fatto fermentare con macerazione sulle bucce, in parte in acciaio (come il resto delle uve) ed in parte in anfora, affinando poi per il 70% in acciaio “sur lie” e per il 30% in tonneaux per 5-6 mesi prima dell’assemblaggio e dell’imbottigliamento con leggera filtrazione e minima aggiunta di solfiti. Altri “Vermentino” 2016 rimarchevoli Le Prode dell’azienda Podere La Regola (Riparbella), quello bio di Campo al Coccio (Bolgheri) ed il Tuscanio Bianco di Bulichella (Suvereto), azienda certificata biologica dal 1983 di cui ho molto apprezzato anche Hide 2012 (100% Syrah) ed il Coldipietrerosse 2012 (Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot). Uno dei miei bianchi italiani preferiti è il Giovin Re (100% Viognier, il nome del vino è l’anagramma del vitigno) di Michele Satta a Bolgheri, che anche stavolta raccoglie elogi per l’annata 2016, ma anche il secondo bianco aziendale, il Costa di Giulia 2016 (70 Vermentino 30 Sauvignon), mi ha intrigato così come altri bolgheresi come il Donna Olimpia 1898 del 2015, blend di Vermentino, Viognier e Petit Manseng ed il Criseo 2015 di Gaudo al Melo, complesso vino anche da invecchiamento da uve Vermentino in maggioranza, poi Fiano, Verdicchio, Incrocio Manzoni e Petit Manseng. Due parole in più per un “orange wine”, il quarto colore dei vini dopo bianchi, rosati e rossi, vale a dire l’arancione più o meno intenso, dovuto alla macerazione sulle proprie bucce di uve bianche senza interventi chimici né filtrazioni: sto parlando dell’Incontri Orange, annate 2015 e 2013, dell’omonima azienda di Suvereto (agricoltura biodinamica con produzione di vini biologici, vegani e senza solfiti aggiunti oltre quelli presenti naturalmente in fermentazione), da uve Vermentino che dopo la macerazione sono state affinate in grandi botti di rovere per 8 mesi con successiva maturazione sui lieviti in bottiglia, frutta matura e candita al naso con note agrumate e di tostatura, caldo e avvolgente in bocca dalla gustosa sapidità, “mo’ me lo segno” per un riscontro in futuro... Per finire, in breve sequenza i miei tre migliori assaggi dei vini rossi: il Renìs 2014 Syrah in purezza (azienda a Suvereto) e due bolgheresi, il Tarabuso 2014 (Cabernet Sauvignon) di Terre del Marchesato e l’immancabile Paleo Rosso, Cabernet Franc del 2014, dell’azienda Le Macchiole. "Inebriatevi senza tregua! Di vino, di poesia o di virtù, a piacer vostro” – Charles Baudelaire. Risposte esatte del quiz della scorsa puntata: 1F3 2L3 3I2 4D1 5G3 6B3 7E1 8A1 9H3 10C3 Segnalazioni:
- L’Associazione Il Santuccio organizza un Corso di primo livello per Sommelier a partire da lunedì 5 febbraio (tutte le informazioni: http://www.ilsantuccio.it) - Sabato 27 e Domenica 28 gennaio evento enologico Wine&Siena (https://www.wineandsiena.it) ![]() Cari amici degustatori, puntata natalizia dell’agognato, bramato, desiderato, attesissimo...quizzone! E per darvi modo di risolvere con calma tutti i quesiti, le soluzioni le scriverò nella prima puntata dell’anno venturo, dato che il vostro blogger prediletto va in “letargo natalizio/befanesco”; ma non vi preoccupate, materiale per i prossimi articoli ne ho in abbondanza, dopo il Merano Wine Festival è stato tutto un fiorire di eventi ancora da raccontare... Torniamo al quiz, so che ormai conoscete a memoria le istruzioni, ma per quei tre/quattro(mila) nuovi lettori che incrociano più o meno casualmente questa pagina un paio di linee guida sono doverose: innanzitutto, cosa si vince? Niente di pratico, ma l’aumento della propria enostima non ha prezzo e poi prendetelo come un allenamento per un futuro bis della serata di metà giugno quando, durante la cena a quiz, vennero messe in palio 9 bottiglie, di cui ben 5 Magnum! E quindi, ecco un breve riepilogo del funzionamento del gioco: vengono proposte dieci domande (la maggior parte su argomenti trattati nelle ultime serate degustative in Piazza) la cui risposta sarà da trovare all’interno di un trittico già a disposizione; per rendere leggermente più complicata la ricerca, il tris di risposte non sarà in correlazione con la cronologia delle domande, pertanto dovrete trovare voi gli incastri giusti, un po’ come trovare il giusto abbinamento di vino per un piatto in tavola. ![]() Iniziamo: Domande 1) Qual è la tipologia più secca per gli spumanti? 2) Che tipo di vino è il Dolcetto? 3) Qual è il vitigno maggiormente coltivato nell’area vinicola lombarda della Valtellina? ![]() 4) In che anno esce in commercio la prima bottiglia di Sassicaia? 5) Con quali uve viene prodotto il primitivo di Manduria? 6) Attualmente chi è proprietario della Tenuta dell’Ornellaia? ![]() 7) Con quale vitigno si produce l’Albana di Romagna? 8) Cos’è la Peronospera? 9) A cosa serve la fermentazione malolattica? 10) Che tipo di vino è lo Sfursat (o Sforzato)? Risposte a) Un fungo/Un insetto/Una muffa b) Famiglia Ferragamo/Marchesi Antinori/Marchesi de’ Frescobaldi c) Passito bianco dolce/Passito rosso dolce/Passito rosso secco d) 1968/1971/1976 e) Albana/Brachetto/Moscato f) Brut/Demi-sec/Pas Dosé g) Aglianico/Negramaro/Primitivo h) Ad aumentare il grado alcolico/Ad aumentare la percezione di acidità/A diminuire la percezione di acidità i) Barbera/Chiavennasca/Pinot Nero l) Vino dolce/ Vino passito/Vino secco “Diplomi” a seconda del numero di risposte giuste: 10 = Stella Cometa! Da 9 a 7 = Re Magio Da 6 a 3 = Pastorello Da 2 a 0 = E’ rimasto un posto da Renna sulla slitta... “Quando leggo dei danni che causa il bere, smetto di leggere” – Henny Youngman
![]() Da tre anni l’ultima giornata del Merano Wine Festival è quella del martedì, dedicata esclusivamente agli Champagne: ben 46 tra Maison (tecnicamente Négociant-Manipulant, in quanto possono sia possedere vigneti che acquistare uve da altri produttori poi assemblandole e vinificandole) e Récoltant-Manipulant (proprietari che producono Champagne solo con le proprie uve e seguono tutta la filiera produttiva) hanno portato in degustazione circa 130 etichette nella sala Kursaal, la pià grande ed importante dell'intero complesso. In più, per la prima volta, erano presenti anche 6 banchi di assaggio di prodotti gastronomici, sia salati (strepitose le mozzarelle..) che dolci, perfetti per spezzare il ritmo compulsivo di tutte quelle bollicine, che sono un po’ come le ciliegie…una tira l’altra! ![]() La regione della Champagne (oltre 34.000 ettari), è suddivisa in 4 principali zone produttive, da nord a sud le Montagne de Reims (regno del Pinot Nero), la Vallée de la Marne (qui le migliori espressioni del Pinot Meunier), la Côte des Blancs (con i celeberrimi Blancs de Blancs-BdB = solo Chardonnay) e la Côte de l’Aube o des Bar (rinomati gli Champagne Rosé), ciascuna con le sue peculiarità geologiche e climatiche da cui dipendono anche le varietà di vitigni impiantati (Chardonnay nel 26% sul totale della superficie vitata, Pinot Noir e Pinot Meunier ciascuno per il 37%, tutti tra i 90 ed i 300 metri di altitudine), dando vita in tal modo a prodotti molto diversi tra loro; diversità ancora più marcate se pensiamo che tra gli oltre 320 villaggi solo 17 possiedono la denominazione di Grand Cru (i migliori nella scala di qualità delle uve) e 44 quella di Premier Cru. E quindi non farò paragoni ma mi limiterò a raccontare quali tra gli innumerevoli ottimi assaggi mi abbiano lasciato i migliori ricordi, ad iniziare dall’intera batteria degli Champagne di una piccola Maison di proprietà italiana, Encry, tutti Blanc de Blancs da vigneti Grand Cru nella Côte des Blancs già conferiti a Krug e Salon, il Brut, il Grand Rosé (con 5% di Pinot Nero), il Millesimato 2009 ed il mio preferito, il Nature Dosage 0, 36 mesi sui lieviti per un vino specchio del terreno gessoso di provenienza, fresco, minerale, decisamente “verticale” come piace a me. Un altro piccolo Vigneron indipendente di cui mi sono piaciuti più prodotti è Maxim Blin. 12 ettari nella Montagne de Reims, in particolare il Brut Millesimé 2006 (100% Pinot Nero) ed il fiore all'occhiello di gamma, il Maxime, assemblaggio in parti uguali dei 3 vitigni classici. Sempre all’altezza della loro fama le grandi Maison, ottimi i Millesimati Brut BdB 2006 di Bruno Paillard, Brut 2009 di Louis Roederer (70 PN 30 Ch), Charles Heidsieck 2006 (59 PN 41 Ch), ma anche quelli di Maison meno conosciute come Collet 2006 (54 Ch 46 PN), Champagne du Barfontarc Brut Nature 2009 (50 PN e Ch) ed Extra Brut 2008 (60 PN 40 Ch), Mandois Cuvée Victor BdB 2007, Pannier Cuvée Luis Eugene BdNoirs 2011 (95 PN 5 PM) ed infine note di gran merito per alcuni Champagne S.A. (sans année), vale a dire non millesimati, il Brut Réserve (55 PN 30 Ch 15 PM) della Maison Boizel ed il Brut Origin’Elle (75 PM 15 PN 15 Ch) di Francois Bedel. Sottolineo il fatto che gli Champagne non Millesimati, per quantità oltre il 90% della produzione totale, rappresentano l’essenza, anche economica, di ogni Maison, perché definiscono il suo stile immutabile nel tempo a prescindere dalla variabilità dell’annata metereologica: infatti il vino dell’ultima vendemmia (vin clair) viene assemblato con i cosiddetti “vins de réserve” di varie annate precedenti, mantenuti appositamente in cantina proprio allo scopo di far uscire un prodotto nel quale il consumatore finale possa riconoscere le stesse caratteristiche anno dopo anno. Per ultime le due cantine, entrambe della Côte des Blancs, con i migliori prodotti assaggiati, Michel Mailliard e Champagne A. Bergère, Maison della quale ho già (ben) parlato nella puntata 120 e stavolta, oltre a trovare migliorati i prodotti già conosciuti (Brut Selection, Brut BdB Grand Cru, Nature BdB, Brut Rosé), ho degustato i vini top di gamma, il Brut Prestige 2009 (50 Ch 40 PM 10 PN) ed il loro “Fleuron du Champagne”, il 38-40 (sono i numeri civici della sede aziendale sull’Avenue de Champagne ad Epernay) BdB Vintage 2008 da uve dei Grand Cru di Avize ed Oger, estremamente fresco e pulito, dai toni agrumati con cenni di tostatura, gusto pieno e succoso con una vena di mineralità che lo rende estremamente godibile e ribevibile. Uno più buono dell’altro su un livello di eccellenza i tre Champagne di Michel Mailliard, il Brut Cuvée Gregory Premier Cru (95 Ch 5 PN) ed i due BdB, il Brut Millesimato 2008 Mont Vergon Premier Cru ed il Grand Cru Brut Millesimato 2004 L’Oger, dal colore giallo dorato, profumi com-plessi dai fiori bianchi e gialli alla frutta secca e pasticceria che si ritrovano in una bella rotondità in bocca, ancora ben concentrato grazie ad una vena acida ben presente, armonico e persistente. “Il troppo stroppia, ma troppo Champagne è il giusto” - Francis Scott Fitzgerald
![]() Tra tutte le giornate della kermesse altoatesina, la mia preferita è sempre quella del lunedì, quando i produttori possono portare, a loro discrezione, una vecchia annata di un loro grande vino e proprio per questo le presenze, pur in un giorno feriale, sono più o meno le stesse del weekend. L’unico inconveniente è che, per il particolare pregio delle suddette bottiglie, vi è il rischio che vengano esaurite in un batter d’occhio, fortunatamente quest’anno mi è capitato poche volte, ma una in particolare mi è proprio dispiaciuto non assaggiare, l’annata 2002 del Tazzelenghe (in friulano tace-lenghe=taglia lingua) dell’azienda La Viarte, un vitigno autoctono quasi scomparso (solo 300 hl di produzione annua) dall’elevata tannicità ed acidità, difficile da bersi nei primi anni di imbottigliamento, ma (dice..) di grandissima personalità dopo un lungo affinamento che ammorbidisce le asperità: verifica rimandata all’anno venturo! Venendo agli assaggi concreti, tra le bollicine netta predominanza dei Trentodoc tra i miei preferiti, sugli scudi Madame Martis Riserva 2007 del Maso Martis, Rotari Flavio Brut Riserva 1999 di Rotari e 976 Riserva del Fondatore 1999 di Letrari (eccellente anche, soprattutto in riferimento all’annata, l’Extra Brut Riserva Speciale 1988 di Pedrotti). Gradino più alto del podio equamente suddiviso tra l’icona dello stile Ferrari, il Perlé (100% Chardonnay, minimo 5 anni sui lieviti) proposto nell’annata 2005, note agrumate e tropicali, dal gusto sapido e minerale lungamente persistente ed il sorprendente Brut Millesimato 1995 (!!) della franciacortina Le Marchesine, anch’esso Chardonnay in purezza, ancora sorretto da una forte vena acida, perlage finissimo, ampio al naso e gustosa maturità in bocca. Sul versante dei bianchi, solo uno mi ha davvero intrigato, il Braide Alte 2011 dell’azienda friulana Livon, blend di uve Chardonnay (40%), Sauvignon (40%), Picolit (15% ) e Moscato Giallo (5%) vendemmiate a mano (e sì che di norma a me piacciono i monovarietali..) e vinificate separatamente con fermentazione e successiva maturazione per circa 8 mesi sempre in barriques nuove di Allierr prima dell’assemblaggio in acciaio per altri 2 mesi ed ancora un altro anno in bottiglia prima della commercializzazione, dai profumi ampiamente aromatici e complessi, pesca, pera, pompelmo, ricco di note floreali e tropicali, al gusto una delicata nota minerale, di piacevole consistenza e ben bilanciato, raffinato ed elegante. Ho infine lungamente e goduriosamente esplorato le vecchie annate dei vini rossi, qui è più difficile stilare una graduatoria di merito perché davvero tanti sono stati i vini che meriterebbero una segnalazione, ma lo spazio e la pazienza di chi legge non sono infiniti…quindi, prima una carrellata di ottime degustazioni e per finire un paio di focus sui supertop di giornata: in ordine ascendente di annata, il Radici Taurasi Riserva 2007 di Mastroberardino, il Barolo Riserva 2007 Vigna Madonna Assunta di Rocche dei Manzoni, il Barolo Broglio Riserva 2004 di Schiavenza, il Barolo Gavarini Chiniera 2004 di Elio Grasso, l’Ornellaia 2003 e l’Amarone Il Bosco 2000 di Gerardo Cesari. ![]() Poi, come già successo per gli assaggi domenicali, la palma del (mio) migliore, seppure in comproprietà, spetta ad un vino dell’azienda certificata biologica Conterno Fantino, fondata nel 1982 e proprietaria di 27 ettari a Monforte d’Alba con produzione annua di circa 140mila bottiglie, il Barolo Vigna del Gris 2003, affinato 2 anni in barriques di rovere francese, dal rosso rubino scuro tendente al granato, bouquet elegante di frutti rossi maturi, more, prugne, seguiti da note speziate e terziarie di cioccolato fondente, liquirizia e caffè, l’ingresso in bocca è morbido ed avvolgente, di buon corpo e dai tannini rotondi, armonico e dal finale lungo e persistente. Ma la vera sorpresa è stato trovare un’annata 1990 ancora in perfetta forma, tra l’altro assaggiata verso la fine della giornata quando le papille gustative sono ormai stanche e poco ricettive: e invece questo vino mi ha completamente risvegliato i sensi quando, dopo una presentazione olfattiva a base di amarena, pomodoro secco, legno bruciato, liquirizia e tabacco, in maniera potente ed esplosiva è entrato in bocca denotando un insospettabile equilibrio tra parti morbide e dure, un’ondata di penetrante acidità sorretta da solidi tannini ben integrati su un medio corpo, elegante, saporito con un piacevole finale: il vino in questione, 90% Sangiovese e 10% Canaiolo affinato in botti di rovere di diversa capacità e provenienza (Slavonia e Francese) per 12 mesi, è il Chianti Classico Riserva 1990 di Carpineto, azienda con sede a Greve in Chianti che giusto quest’anno ha festeggiato i 50 anni dalla fondazione, direi con ottimi risultati! “Mi piace tutto ciò che è vecchio; vecchi amici, vecchi tempi, vecchie maniere, libri antichi, vecchi vini” - Oliver Goldsmith Segnalazione Evento: "Calici sotto l'albero" Sabato 2 dicembre 2017 Hotel Albani Firenze
https://www.facebook.com/events/1316608215128820/ ![]() Per ogni appassionato winelover è facile abbinare il mese di novembre ad una specifica manifestazione, vale a dire il Merano Wine Festival, evento di stampo mitteleuropeo e primo in Europa a chiamarsi “Wine Festival”, quest'anno giunto alla sua 26° edizione; dal lontano 1992 la formula principale è rimasta immutata, con aziende accuratamente selezionate sotto il profilo della qualità dei prodotti riunite sui due piani dell’aristocratico palazzo chiamato Kurhaus. Oltre alle presenza di 450 case vitivinicole (circa 100 nella giornata inaugurale “Bio&Dynamica”) ed innumerevoli MasterClass di livello, grande spazio anche al “food”, con quasi 200 artigiani del gusto e 15 chef di spicco protagonisti di molteplici eventi, in pratica per le oltre 10.000 persone presenti nei 5 giorni c’è stato solo l’imbarazzo della scelta! E un po’ di imbarazzo lo provo sempre anch’io quando devo decidere cosa assaggiare, andare a colpo sicuro sui Grandi Vini che magari in altre occasioni non si trovano o cercare di scoprire qualche vino che non conosco? Alla fine, more solito, una botta al cerchio ed una alla botte: e così, sempre all’altezza della loro meritata fama i Millesimati 2008 Ferrari Lunelli Riserva (solo Chardonnay) e Ca’ del Bosco Annamaria Clementi (70% Chardonnay, il resto Pinot Nero e Pinot Bianco) tra le bollicine, per i bianchi il Löwengang 2014 Chardonnay Alto Adige di Alois Lageder, il Kerner Aristos 2016 della Cantina Produttori Valle Isarco ed il Plenio Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva 2015 di Umani Ronchi, infine per i rossi il Barolo Bricco Rocche 2013 di Ceretto, l’Ornellaia 2014, Le Pergole Torte 2014 di Montevertine e l’Amarone Riserva 2010 Ca’ Florian di Tommasi. Migliori assaggi di giornata, due Barolo dell’azienda bio Conterno Fantino, 27 ettari di vigneto a Monforte d'Alba, il Barolo Mosconi Vigna Ped 2013 ed il Barolo Ginestra Vigna Sorì 2014. Ottimi riscontri ho poi avuto dai vini della regione alpina della Valtellina, in provincia di Sondrio, la più vasta area terrazzata d’Italia con i suoi 2.500 km di muretti a secco all’interno di 850 ettari di vigne, dove l’uva principe è il cosiddetto Nebbiolo delle Alpi, localmente chiamato Chiavennasca; il Consorzio per la Tutela dei Vini di Valtellina, fondato nel 1976, è l’unico che può fregiarsi di ben due Docg, il Valtellina Superiore (con ulteriore suddivisione in 5 sottozone: Inferno, Grumello, Maroggia, Sassella e Valgella) e lo Sforzato di Valtellina o Sfursat, vino passito secco ottenuto da un appassimento delle uve di circa 3 mesi sui graticci, seguito dalla pigiatura e da 20 mesi di invecchiamento di cui almeno 12 in botti di legno: per entrambe le Docg i disciplinari di produzione impongono un minimo del 90% di uva Chiavennasca. Non a caso due dei tre banchi delle aziende valtellinesi, Caven e Rivetti&Lauro, erano nella sezione “Extremis”, riservata alla viticoltura eroica, figlia della laboriosità dell’uomo in zone geograficamente impervie; di Caven degustati il Messere Sforzato 2010, il Terrazze Retiche di Sondrio Passito I.G.T. “Anomalia Singolare” da naturale surmaturazione delle stesse uve dalle quali si ottiene lo Sforzato ed interruzione della fermentazione alcolica per ottenere un passito dolce, ed il mio preferito, La Priora Sassella Riserva Valtellina Superiore 2013, 100% da selezionate uve Nebbiolo da vigneti storici, dal color rosso rubino e profumi dai sentore di viola, in bocca morbido e vellutato, note sapide, bella persistenza ed eleganza. Sullo stesso livello di eccellenza i vini di Rivetti&Lauro, lo Sforzato dell’Orco 2013, il Valtellina Superiore Riserva UI' 2013 e soprattutto l’Uì' Sassella Vigna 298 del 2013, profumi complessi di spezie e frutti rossi maturi, gusto pieno e deciso, di buona struttura con tannini fini ed eleganti. La maggiore realtà vitivinicola della Valtellina è però la Cantina Nino Negri, 31 ettari di proprietà e cantina con 1500 barriques nuove di rovere francese e americano, della quale ho potuto degustare il pluripremiato Sfurzat 5 Stelle 2011, prodotto solo nelle migliori annate da una selezione delle migliori uve (100% Chiavennasca), vinificate con lunga macerazione dopo l’appassimento naturale di 3 mesi, maturate 20 mesi in barriques nuove di rovere francese e affinate altri 6 mesi in bottiglia, colore rubino carico, ampio bouquet di profumi dalla prugna sotto spirito alle spezie, caffè e tabacco, in bocca entra in maniera vigorosa per il suo gusto intenso, ampio e corposo, lungamente persistente. Degli altri due vini assaggiati, Inferno Carlo Negri 2014 e Sfurzat Carlo Negri 2013, non anticipo niente dato che saranno entrambi in degustazione giovedì prossimo in Piazza, evento assolutamente da non perdere! “Ecco la felicità della vita. Amore e vino ugualmente dobbiamo aver vicino” - Aleksandr Puskin Segnalazione Evento: "Calici sotto l'albero" Sabato 2 dicembre 2017 Hotel Albani Firenze
https://www.facebook.com/events/1316608215128820/ ![]() Visto il successo della scorso anno, anche la seconda edizione di Vinoè, le prestigiosa kermesse enologica della FISAR (Federazione Italiana Sommelier Albergatori e Ristoratori), ha avuto luogo presso gli ampi locali della Stazione Leopolda di Firenze tra domenica 5 e lunedì 6 novembre dove ben 8.000 enoappassionati (oltre il 30% in più rispetto al 2016) hanno potuto assaggiare (con molta più calma il lunedì...) più di 800 etichette dai 116 banchi d’assaggio, con una stima di apertura di circa 10.000 bottiglie in rappresentanza di tutte le regioni italiane: cooking show, seminari e soprattutto MasterClass di assoluto livello hanno ampliato l’offerta della manifestazione ed è proprio grazie a due di queste che il mio apprezzamento per l’evento è stato altissimo. Già il relatore della prima degustazione guidata, Roberto Cipresso (per chi non lo conoscesse www.robertocipresso.it), avrebbe meritato la presenza a prescindere dai vini in degustazione, quando poi ho visto il titolo “Viaggio con il Malbec sulla Ruta National 40 - Approfondimento sul Malbec Argentino” sono stato tra i primi ad iscrivermi. Le rarissime volte che avevo assaggiato vini in purezza da questo vitigno (Vie Cave della Fattoria Aldobrandesca di Antinori ed un paio di bottiglie di aziende argentine non memorizzate), originario della Francia ed usato principalmente come parte eventuale del “taglio bordolese” e coltivato in quantità solo nella zona sud occidentale di Cahors, avevo sempre avuto riscontri positivi e non vedevo l’ora di approfondirne la conoscenza. Quatto vini da quattro territori diversi di quella nazione solcata da una lunga parte dell’immensa Cordigliera delle Ande, con vigneti tra i più alti al mondo fino ad oltre 2.000 mt, partendo dai cactus della provincia di Salta a nord, passando per Mendoza (la zona di maggior qualità) al centro per arrivare fino ai ghiacciai della Patagonia nella Terra del Fuoco, il cui armonioso combinarsi tra clima, terreno e lavoro dell’uomo dimostra quanto quel terroir influisca sul questo vino, simbolo della rinascita enologica argentina: stili diversi per quattro espressioni di questo versatile vitigno, dal più giovane dai profumi floreali e di piccola frutta rossa a quelli invecchiati più o meno lungamente in legno dagli aromi più maturi (prugna, amarena, poi anche cioccolato, vaniglia, caffè) e soprattutto da corpo e struttura sempre ben bilanciati dall’acidità, dotati di grande eleganza e godibilità di beva, insomma l’interesse per il Malbec è decisamente aumentato! Anche la mia seconda MasterClass, Lili Marleen e il Riesling (in tre momenti tipici della sua infinita vita enologica, la gioventù più audace, l'età della maturità e quella della più piena saggezza), è stata guidata con provata competenza e grande passione dal relatore Valerio Sisti, completamente a suo agio e quasi gaudente nel descrivere il variegato mondo del Riesling, sul quale ho scritto proprio nell’ultima puntata del blog. Venendo ai vini in degustazione, ne segnalo alcuni, tra quelli che mi sono maggiormente piaciuti, sui quali ho avuto anche la possibilità di parlare direttamente con i produttori, iniziando da tutta la gamma dell’azienda canavese (a nord di Torino) Cieck, specializzata nella produzione di vini a base di Erbaluce, uno dei rari vitigni che permette la produzione di tre diverse tipologie (vini fermi, spumanti e passiti) grazie alla sua spiccata acidità, tutte ricadenti nella DOCG Erbaluce di Caluso. Ottimo lo spumante Metodo Classico Cieck Nature 2013, dal perlage fine e persistente, che estremizza le qualità del vitigno di freschezza e mineralità regalando un sorso affilato e sapido ma anche consistente, mantenendo ancora la tipica nota citrina in ingresso; notevole anche il Misobolo 2016, fruttato, giovane ed armonico con ricordi erbacei appena sfumati, ricco di sensazioni floreali. Ottimi prodotti anche quelli di un’altra azienda piemontese, Bruna Grimaldi, in particolare il Barolo Badarina, proposto sia nella versione annata 2013 che Riserva 2011 (tra i migliori 3 assaggi), da uve Nebbiolo del Cru “Badarina” a Serralunga d’Alba, affinato come da tradizione in tonneau e botte grande (fino a 3 anni la Riserva) prima di un successivo lungo “riposo” in bottiglia, entrambi ancora giovani con tannini ben presenti ma già con evidente pulizia e profondità, un peccato (doveroso, però..) aspettarli fino alla completa maturazione vista l’attuale piacevolezza. E parlando di aspettative, mi segno due nuove aziende piemontesi dalle piccole produzioni da seguire nel loro percorso, Réva a Monforte d’Alba (in regime bio, prima annata prodotta la 2010) e la Carlina (nata nel 2014, certificazione bio attesa nel 2018) a Grinzane Cavour, condotte da giovanissimi proprietari pieni di entusiasmo e passione: miglior assaggio della prima il Barolo Ravera 2013, fruttato e speziato con toni balsamici, della seconda la Barbera d’Asti Superiore 2015, fresco e fragrante ma già accattivante nel gustoso succo e nel buon nerbo. Carrellata di altri assaggi top: il Friulano di Aquila della Torre, il Friulano di Silvano Ferlat, il Barbaresco Riserva Canova 2004 della Tenuta San Mauro, il Barolo Gabutti 2012 di Giovanni Sordo, l’Amarone 2013 di Venturini ed il Barolo Bricco delle Viole 2013 di Di Vajra. Segnalazione Evento: "Calici sotto l'albero" Sabato 2 dicembre 2017 Hotel Albani Firenze https://www.facebook.com/events/1316608215128820/ “Il vino è bòno, ma l’acqua avanza. In tavola.” - Leonardo da Vinci
![]() E dopo il tanto parlare di teoria della scorsa puntata, in questa mi soffermerò anche sulle aziende visitate, ad iniziare da una delle migliori cantine alsaziane, Domaine Zind Humbrecht a Turckheim vicino alla città di Colmar, 40 ettari dalle bassissime rese in regime biodinamico suddivisi in 6 diverse località, caratteristica peculiare le lente fermentazioni in cantina con successivi imbottigliamenti fino a due anni di distanza dalle vendemmie, difatti sui 9 vini assaggiati e prodotti da tutti i vitigni nobili (Riesling, Gewürztraminer, Pinot Grigio e Moscato Bianco) nessuno era successivo al 2015. Vini stilisticamente perfetti, con mia preferenza per il Riesling 2014 del Grand Cru più a sud dell’Alsazia, la collina terrazzata formata da roccia vulcanica Rangen “Clos Saint Urbain de Thann”, che conferisce al vino una spiccatissima mineralità sia olfattiva che gustativa all’interno di una struttura salina, potente e persistente. Il personaggio più istrionico incontrato in questo viaggio è stato sicuramente Rémy Gresser, proprietario dell’omonimo Domaine a metà strada tra Colmar e Strasburgo, vero cultore delle tradizioni vinicole familiari, risalenti al XVI secolo, di protezione dell’ambiente con metodi biologici e biodinamici ed in cantina con affinamento svolto in botti grandi per permettere la massima espressione delle proprietà organolettiche dei vitigni. Undici i vini degustati con particolare approfondimento di vecchie annate di “Vendange tardive” e “Sélection de Grains Nobles” (v. puntata precedente), di cui abbiamo potuto constatare l’eccezionalità a partire dai colori dorati brillanti, per passare ai variegati estratti aromatici (miele, albicocca secca, frutta candita, pesche sciroppate, frutti tropicali) e ad un sorso pieno e voluttuoso con l’alto grado zuccherino bilanciato da una portante spalla acida, persistenti all’inverosimile. Domaines Schlumberger, Domaine Weinbach e Sipp Mack le altre cantine visitate (vedi foto). Venendo infine alla regione solcata dalla Mosella, qui siamo nel regno di Sua Maestà il Riesling: panorami mozzafiato con impressionanti verticalità dei vigneti, con coltivazioni e vendemmie manuali, se non si vedono di persona non ci si può rendere conto dello spettacolo offerto passando lungo i 150 chilometri costeggianti le ampie anse del fiume. Microclima, esposizioni e morfologia dei terreni in cui risulta assolutamente prevalente l’ardesia, che drena il terreno, trattiene il calore dei raggi solari e trasmette alla vite le sostanze minerali che rendono questi vini un unicum nel panorama mondiale, dal basso tenore alcolico ma dalla stupefacente capacità di evoluzione e di invecchiamento. A livello legislativo i Riesling, all’interno della piramide dei vini di qualità (Prädikatsweine), vengono classificati secondo il loro residuo zuccherino in varie tipologie a seconda del momento della raccolta, partendo dal Kabinett (vino più leggero e con zucchero fino a 60 gr/l) per passare allo Spätlese (raccolta tardiva, fino a 80 gr/l) ed all’Auslese (grappoli sovramaturi selezionati a mano, fino a 100 gr/l), tutte categorie di cui esiste anche la versione Trocken (secco) indicata in etichetta, per finire con BeerenAuslese (acini selezionati con muffa nobile, fino a 200 gr/l), TrockenBeerenAuslese (selezione di acini secchi con muffa nobile, fino a 270 gr/l) e Eiswein (acini ghiacciati, vendemmia a temperatura sottozero che porta ad una concentrazione naturale del mosto, poiché l’acqua ghiacciata viene eliminata durante la pressatura). Vi è poi la VDP, un’associazione che riunisce circa 200 tra i migliori produttori vinicoli della Germania, che ha creato un’altra classificazione dei vini tedeschi secondo il livello di qualità delle vigne da cui provengono: possiamo quindi trovare in etichetta, accanto al simbolo dell’associazione (un’aquila che porta un grappolo d’uva), le diciture “Grosse Lage” o “Grosses Gewächs” per i vini secchi ed “Erste Lage”, corrispondenti ai francesi “Grand Cru” e “Premier Cru”. Classisches Weingut Hoffranzen, Weingut S.A. Prüm, Weingut Markus Molitor, Weingut Dr. Loosen e Weingüter Mönchhof le 5 cantine visitate nella regione, ognuna meritevole di meritatissime e circostanziate lodi, ma per motivi di spazio spenderò due parole solo su Dr. Loosen, uno dei mitici produttori della Valle della Mosella, tale da meritarsi l’appellativo di Mr. Riesling, nel 2005 Man of the Year per Wine Spectator e WhiteWinemaker of the Year per Decanter nel 2006. Veniamo accolti in una splendida sala degustazione ed accompagnati alla scoperta ed alla conoscenza di 8 vini dal braccio destro del proprietario che, con il suo inglese perfettamente intelligibile ed un modo di raccontare che definire “teatrale” pare riduttivo, riuscirà a farci comprendere perfettamente il loro concetto di “terroir”: fare ottimi vini figli del territorio, ognuno dei sei (!) vigneti Grand Cru deve dare la propria impronta al vino, l’odore, il sapore, il carattere dell’annata, la profondità dei vecchi vitigni (alcuni a piede franco di 60 anni), tutto deve dimostrare l’autenticità del prodotto. Per quanto mi riguarda, il mio apprezzamento è stato provato dalla quantità di vini acquistati... “Niente rende il futuro così roseo come il contemplarlo attraverso un bicchiere di Chambertin.” - Napoleone Bonaparte (che impose il Riesling come uva locale in Mosella)
![]() Ogni anno la Delegazione fiorentina della FISAR (Federazione Italiana Sommelier Albergatori e Ristoratori) organizza tutta una serie di interessanti gite alla scoperta di vari territori enologici, ma solo una è LA Gita per eccellenza, quella di 5 giorni a cavallo della festività del 2 giugno: e così, dopo le precedenti in Franciacorta, Borgogna e Champagne, quest’anno la destinazione prescelta è stata quella dei territori vitivinicoli a cavallo tra la Francia occidentale e la Germania, nello specifico la regione dell’Alsazia e la Valle della Mosella, nella regione Mosel-Saar-Ruwer. Cinque cantine visitate per ciascuna zona, tra cui alcune eccellenze assolute, scelte anche per la possibilità di ospitare due dozzine di Sommelier o aspiranti tali nelle loro strutture, circostanza non così abituale da quelle parti. L’Alsazia, territorio a 500 km ad est di Parigi che si estende in verticale per più di 100 km ed in larghezza per 5, storicamente conteso tra Francia e Germania tanto che gli abitanti hanno difficoltà a riconoscersi in una delle due nazioni ma si sentono semplicemente “alsaziani”, è la patria dei grandi vini bianchi francesi (ben sotto il 10% la produzione di vini rossi), in questo favorita sia dalla posizione geografica (regione vinicola tra le più settentrionali della Francia), sia dall’altitudine dei vigneti (tra i 150 e i 450 mt), sia infine e soprattutto dal clima secco e poco piovoso, in quanto la protezione dei monti Vosgi ad ovest la ripara dai venti gelidi e dalle grandi piogge. Quattro sono i vitigni cosiddetti “nobili”, Riesling, Gewürztraminer, Pinot Grigio e Moscato Bianco (secco), gli unici con i quali è possibile produrre vini della denominazione di maggior pregio, l’AOC (Appellation d’Origine Côntrolée) Alsace Grand Cru, riservata solo a 51 località e pari al 4% della produzione totale di un milione di ettolitri dei vini d’Alsazia; le altre denominazioni sono l’AOC Crémant d’Alsace (22% della produzione totale), riservata agli spumanti prodotti con il metodo Champenois (dopo gli Champagne sono lo tipologia di spumanti più bevuta in Francia), mentre il resto della produzione ricade sotto l’AOC Alsace. Vi sono poi altre due diciture, riservate a vini da dessert particolari e rari: “Vendange tardive” (Vendemmia tardiva), vini secchi o leggermente dolci da uve con zuccheri concentrati per essere state lasciate più a lungo in vite e quindi con un inizio di disidratazione e “Sélection de Grains Nobles” (Selezione di acini nobili), vini dolci prodotti solo nelle annate in cui gli acini vengono colpiti dalla muffa nobile chiamata Botrytis Cinerea, un fungo che si sviluppa grazie alle nebbie mattutine seguite da giornate calde dove il sole asciuga gli acini permettendo all’acqua contenuta di evaporare, concentrando in tal modo zuccheri ed estratti aromatici. Altre particolarità sono la possibilità, non concessa ad altre regioni francesi, di inserire in etichetta il nome del monovitigno e l’immediata riconoscibilità delle caratteristiche bottiglie mancanti di spalla (con l’ovvia eccezione dei Crémant), chiamate per l’appunto “alsaziane”, quasi identiche alle bottiglie “renane”. Data la stretta vicinanza con la regione della Mosella il cui vitigno principe è il Riesling, una frase ricorrente è quella che recita “in Alsazia si fanno vini tedeschi con stile francese”: il che è anche vero, se si considerano più le differenze che le similitudini, che si possono ridurre al generale non uso della botte e al non svolgimento della fermentazione malolattica, che servirebbe a smussare le asperità dei vini rendendoli più delicati e morbidi, processo quindi in contrasto con l’essenza di questa tipologia di vini in cui l’aspetto più significativo è proprio l’acidità. Quasi tutti i vini alsaziani sono secchi e ben più corposi ed alcolici di quelli tedeschi, in quanto svolgono completamente la fermentazione alcolica trasformando tutto lo zucchero in alcool, contrariamente alla tecnica enologica di produzione dei Riesling della Germania nella quale esiste sempre un più o meno elevato residuo zuccherino, stupendamente bilanciato dall’elevata acidità delle uve (non per niente sono considerati i migliori vini bianchi al mondo). (continua..) “Chi ha timore di Dio sarà felice, chi beve vino sarà allegro. Beviamo, dunque, e rispettiamo il Signore, saremo pieni di gioia e felicità” - Antica lirica alsaziana
![]() Secondo la tradizione giornalistica anglosassone esiste la cosiddetta regola delle 5 W, vale a dire che per introdurre un articolo chi lo scrive deve preliminarmente rispondere a cinque domande, Who, What, When, Where, Why (Chi-Cosa-Quando-Dove-Perché), anticipando così la curiosità di chi legge e solo successivamente potrà approfondire gli argomenti. Bene, stavolta seguirò pedissequamente questo metodo, iniziando quindi dal “Who”: i soggetti in questione sono il Consorzio del Chianti Classico, che deriva dal Consorzio per la difesa del vino tipico del Chianti e della sua marca d’origine del 1924 con simbolo il Gallo Nero (nel 1932 verrà aggiunto il suffisso “Classico”), ed il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (CIVC - rappresentato in Italia dal Bureau du Champagne), organismo creato nel 1941 per gestire, difendere, valorizzare e far rispettare l’identità dei vini della Champagne, ancor più da quando l’UNESCO, nel 2015, ha iscritto Coteaux, Maison e Cantine della Champagne (“luoghi dove venne sviluppato il metodo di produzione dei vini frizzanti”) nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità (nel 2016 è stata ufficializzata la candidatura a patrimonio dell’umanità anche per il territorio del Gallo Nero). What: una Master class (cioè una degustazione guidata da professionisti di altissimo livello) dal titolo “Le cuvée di Champagne incontrano le Gran Selezione di Chianti Classico”, evento gratuito ma su invito destinato a un pubblico di 100 persone tra giornalisti e professionisti del vino, condotto da Andrea Gori, Sommelier informatico per eccellenza nonché gestore, col fratello Paolo, della storica Trattoria Da Burde e co-organizzatore dell’evento itinerante God Save the Wine e Daniele Cernilli, alias Doctor Wine, tra le tante inventore e direttore per 15 anni del Gambero Rosso. When e Where: domenica 17 settembre nella Sala d’Armi di Palazzo Vecchio. E veniamo al punto focale, cioè al Why/Perché: l’occasione della MasterClass (seguita da un gustoso buffet con una scelta infinita di vini top..) è stata l’inaugurazione della mostra fotografica “VITAE. Ritratti di vita e vino” nel Cortile della Dogana di Palazzo Vecchio, due lavori fotografici per un totale di 49 scatti raffiguranti uomini e donne del Chianti Classico e dell’Arciconfraternita dei viticoltori di San Vincenzo (nata nel 1930 dall’unione delle confraternite medievali di tutti i villaggi della Champagne), un suggestivo racconto per immagini dedicato al patrimonio umano e culturale di questi due territori, che dà vita all’accordo di collaborazione tra questi due storici territori stipulato lo scorso anno in concomitanza del 300° anniversario del Bando di Cosimo III de’ Medici che individuava per la prima volta la zona di produzione del Chianti Classico. Due realtà diverse, ma unite dalla condivisione di valori comuni quali usi, costumi e tradizioni che rendono questi territori di vino unici al mondo, adesso uniti anche ufficialmente per condividere le esperienze nella gestione delle rispettive governance e nelle politiche di sviluppo turistico per la valorizzazione del patrimonio culturale delle appellazioni. A presentare l’evento per la parte enologica il presidente del Consorzio Vino Chianti Classico Sergio Zingarelli ed il direttore del Bureau du Champagne Domenico Avolio, ai quali si sono aggiunti, al momento del taglio del nastro della mostra fotografica, l’assessore fiorentino Giovanni Bettarini, la direttrice dell’Istituto Francese di Firenze e console onorario Isabelle Mallez e la presidentessa dell’Arciconfraternita di San Vincenzo Evelyne Roques-Boizel, curiosamente per metà omonima della (a mio parere) miglior Cuvée di Champagne tra le 4 degustate, Boizel Grand Vintage 2007, prodotto con i tre classici vitigni (Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier) ed affinato sui lieviti per 7 anni; espressioni diverse, dovute sia al territorio che all’assemblaggio e all’affinamento magistralmente illustrate dal Gori, per gli altri Champagne in degustazione, Deveaux Blanc de Noirs, Herbert Beaufort BdB Grand Cru Cuvée du Melomane e Pommery Brut Rosé Apanage. Altrettanto significative le parole usate da Cernilli per focalizzare comunanze ma soprattutto diversità tra le 4 Gran Selezione annata 2013 in assaggio, Rocca di Montegrossi San Marcellino, Rocca delle Macìe Sergio Zingarelli, Castello di Volpaia Il Puro e Castello di Verrazzano Valdonica: in conclusione, una degustazione più unica che rara! Soluzioni del quiz dell’ultima puntata: 1-f1 2-h1 3-e2 4-i3 5-g3 6-l2 7-d1 8-b1 9-c2 10-a2 Segnalazione: evento imperdibile per gli amanti delle vecchie annate e delle verticali Life of Wine domenica 29 ottobre a Roma. Info: www.lifeofwine.it
![]() Cari amici degustatori, so che bramavate il ritorno del quizzone, era dal primo d’aprile che non lo riproponevo, finalmente la vostra voglia di mettere alla prova le rinnovate conoscenze sul mondo del vino avrà un adeguato riscontro! Cosa si vince? Beh, qui niente se non l’aumento della propria enostima, ma prendetelo come un allenamento per un futuro bis della serata di metà giugno quando, durante la cena a quiz, vennero messero in palio 9 bottiglie, di cui ben 5 Magnum! E quindi, ecco un breve riepilogo del funzionamento del gioco: vengono proposte dieci domande la cui risposta sarà da trovare all’interno di un trittico già a disposizione e, per rendere leggermente più complicata la ricerca, il tris di risposte non sarà in correlazione con la cronologia delle domande, pertanto dovrete trovare voi gli incastri giusti, un po’ come trovare il giusto abbinamento di vino per un piatto in tavola… Iniziamo: ![]() 1) Dove si trova la zona vinicola della “Franciacorta”? 2) Relativamente a cosa un vino viene definito “fresco”? 3) A cosa fa rifermento il termine “tostatura”? 4) Con quali uve l’azienda Colonnara fu la prima a produrre uno spumante Metodo Classico nelle Marche? ![]() 5) Verso la fine del film Sideways (ogni amante del vino non può non averlo visto!), il protagonista beve, in un bicchiere di plastica (!), una bottiglia di Château Cheval Blanc del 1961: ma che tipo di vino è? 6) Cosa si intende per “svinatura”? 7) Qual è l’altra denominazione di Prosecco DOCG oltre a quella “Conegliano-Valdobbiadene”? ![]() 8) Da cosa è costituito il “perlage”? 9) In quale regione italiana si produce la docg Cesanese del Piglio? 10) Con quale uva (minimo 85%) è prodotto il vino Moscadello di Montalcino? Risposte a) Malvasia/Moscato Bianco/Trebbiano b) Anidride carbonica/Azoto/Ossigeno c) Campania/Lazio/Umbria d) Colli Asolani/Friuli Venezia Giulia/Treviso e) Aggiunta di selezionati trucioli di rovere durante la fermentazione/Fiammatura della parete interna della botte/Vendemmia ad altissima temperatura f) Lombardia/Piemonte/Valle d’Aosta g) Bianco/Champagne/Rosso h) Acidità/Alcolicità/Temperatura i) Chardonnay/Pinot Bianco/Verdicchio l) Separazione dei raspi dal mosto/Separazione del vino dalle vinacce/Separazione dell’uva dai vinaccioli “Diplomi” a seconda del numero di risposte giuste: 10 = Piena maturità Da 9 a 7 = Ben strutturato Da 6 a 3 = Ancora giovane Da 2 a 0 = Novellino Le soluzioni saranno scritte in fondo alla prossima puntata del blog! Segnalazione: lunedì 16 ottobre inizia il Corso di primo livello per Sommelier organizzato dall’Associazione Il Santuccio (informazioni sul sito www.ilsantuccio.it)
![]() Quinta edizione per la kermesse toscana “Vini d’Autore-Terre d’Italia”, da due anni nella stessa location di “Terre di Toscana”, gli ampi saloni del prestigioso hotel versiliese Una Hotel sul lungomare di Lido di Camaiore. Ampi sì, ma ben stipati di enoappassionati oltre che nella giornata di domenica (21 maggio), anche in quella di lunedì (22 maggio) nella quale scelgo sempre di andare per la possibilità di degustare anche alcune vecchie annate scelte dai produttori, cioè vini che siano maturati ed evoluti al massimo o quasi delle loro potenzialità. Oltre mille le presenze nei due giorni, a conferma del sempre maggiore interesse della manifestazione che ha riunito un’ottantina di cantine in rappresentanza di tutto lo Stivale, , sia già affermate che di nicchia, per un totale di oltre 400 etichette sui banchi d’assaggio in massima parte presentate personalmente dai produttori. Molto tempo mi è stato dedicato dai coniugi Filippo Scienza e Barbara Mottini, che dal 1999 hanno iniziato a gestire l’azienda agricola Vallarom (sede ad Avio provincia di Trento) “a conduzione matrimoniale” come scritto nelle retroetichette, in quanto Filippo, dopo varie esperienze in Borgogna, Toscana, Germania e Stati Uniti, ne è sia l’agronomo che l’enologo mentre la moglie si occupa di tutta la parte commerciale; l’azienda è dal 2011 certificata biologica grazie ad una gestione agronomica sempre più rispettosa dell’ambiente, iniziata con l’immediata abolizione dei pesticidi chimici seguita, già dal 2004, dall’uso esclusivo in vigna di rame e zolfo con utilizzo di concimi organici e, recentemente, di concimi verdi. Venendo ai vini, alcuni anche biovegan, ottimi entrambi gli spumanti Metodo Classico Dosaggio Zero con permanenza sui lieviti per 28 mesi, il Vo’ 2013 a base Chardonnay con prima fermentazione del 20% delle uve in barrique, fresco ed elegante con note di crosta di pane ed il Vo’ Rosé da uve Pinot nero vinificato in rosato con macerazione a contatto delle bucce (tecnicamente: de saignée) per 18 ore in pressa, da cui una buona struttura ed una vasta gamma di sentori fruttati. Sulla stessa linea di piacevolezza l’aromatico Trentatré 2016, da uve 50 % Moscato Giallo, 40% Nosiola e 10% Verdealbara (vitigno autoctono di cui è la prima volta che sentivo parlare, mi hanno spiegato che il nome deriva dallo speciale colore che la buccia assume alla prime luci dell’alba) ed il Vallarom Chardonnay 2015; mezzo gradino sopra il Vallarom Moscato Giallo (varietà che trovo sempre interessante pur nella sua ridotta produzione locale trentina) e, miglior assaggio, il ben strutturato Vallarom Chardonnay del 2008 che, grazie alla fermentazione di un terzo delle uve in barrique, dimostra sia una bella complessità olfattiva, con una gradevole nota fumé, che gustativa. Altra azienda della quale mi sono piaciuti più vini è il Castello di Neive (uno dei 4 comuni nell’area delle Langhe della zona atta a produrre i vini DOCG Barbaresco), una delle pochissime aziende a vinificare in purezza l’Albarossa, vitigno in grado di creare grandi vini di carattere, potenti, pieni ed armonici, creato nel 1938 da un incrocio fra Barbera e Chatus (Nebbiolo di Dronero) ma riscoperto solo da una 15na d’anni (cfr. nel dettaglio la puntata n. 28 del blog). All’altezza delle (alte) aspettative il Barbaresco Galina 2014 ed il Barbaresco Santo Stefano, sia nelle versione giovane ma già foriera di un bel futuro dell’annata 2013, che il pluripremiato Riserva 2011, cru aziendale di uve Nebbiolo affinate lungamente in botti di rovere francese oltre ad 1 anno in bottiglia, di colore granato intenso e dal ventaglio di profumi sempre più ampio lasciando riposare il vino nel bicchiere, gusto pieno e morbido con tannini presenti ma non invadenti Nei miei resoconti spesso non parlo delle aziende più conosciute perché do per scontato l’eccellenza dei loro prodotti, ma ogni tanto è giusto anche rimarcarlo: e allora, complimenti a Mosnel per la batteria dei suoi Franciacorta Brut, Parosé 2008 e 2001, EBB Extra Brut 2012 (top), a Firriato per la spumantizzazione del Nerello mascalese (Gaudensius), per il Caeles Catarratto 2016 ed il Cavanera Ripa di Scorciavacca 2015 (Catarrato e Carricante), alla Fattoria dei Barbi per il Brunello di Montalcino 2012 e 2006 (!) ed infine ad uno dei migliori Barolo di tutto il Piemonte, il Bricco delle Viole di Di Vajra, nelle versioni annata 2012 e 2008, la seconda sicuramente più equilibrata e gustosa ma ancora in continua evoluzione. “Quando il vino entra, esce la verità.” - Benjamin Franklin Segnalazione: lunedì 16 ottobre inizia il Corso di primo livello per Sommelier organizzato dall’Associazione Il Santuccio (informazioni sul sito www.ilsantuccio.it)
![]() Formula vincente non si cambia: e così, la manifestazione “Anteprima Vini della Costa Toscana” è giunta alla 16° edizione con sempre maggior presenza di produttori e successo di pubblico. Ben 2.000 visitatori hanno affollato, nel weekend del 6-7 maggio scorso, le sale di varie dimensioni che circondano il gran salone centrale del primo piano dello storico complesso monumentale dell’ex Real Collegio di Lucca dove erano ospitati 92 produttori dell’Associazione Grandi Cru della Costa Toscana e, nel settore “ospiti”, 20 viticoltori aderenti alla FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) e 6 vignaioli della Languedoc Roussillon francese, per un totale di oltre 600 etichette tra ultime uscite e annate più vecchie sui banchi d’assaggio; 8 interessanti laboratori di degustazione completavano l’offerta enologica, mentre nei tre luminosi chiostri coperti del piano terra vi era la possibilità di gustare i prodotti gastronomici degli Artigiani del Gusto. Come sempre una particolare attenzione è dedicata alla stampa con sale riservate e servizio di Sommelier per degustare sia i vini in commercio che i campioni da botte (Vini en primeur vendemmia 2016) delle aziende aderenti all’Associazione Grandi Cru della Costa Toscana: esse sono comprese nelle cinque province (partendo da nord: Massa, Lucca, Pisa, Livorno e Grosseto) bagnate dal mar Tirreno, che influenza anche le aree più interne, avendo quindi mare e venti come loro minimo comun denominatore, pur mantenendo ciascuna zona le proprie peculiari caratteristiche di terreni e microclima, ma condividendo l’idea comune di valorizzare le eccellenze dei territori quali, oltre al vino, l’ambiente, l’arte, il paesaggio, le storie familiari; ne fanno parte sia nomi conosciuti in tutto il mondo come la Tenuta di San Guido (che a metà mattinata già esaurisce la scorta del Sassicaia..), sia piccole realtà di nicchia, magari introvabili in altri eventi, che è sempre un piacere riuscire a scoprire. Come ad esempio l’Azienda Agricola Eucaliptus con sede a Bolgheri, di cui ricordo con piacere il Bolgheri Rosso Clarice 2015, Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 40% e Syrah 10% affinato in barrique francesi di secondo e terzo passaggio per 9 mesi, un rosso strutturato ma di ottima beva ed il Bolgheri Superiore Ville Rustiche 2104, selezione delle migliori uve di Cabernet Sauvignon 60%, Merlot 30% e Petit Verdot 10%, affinato in barrique nuove per 15 mesi e almeno 12 in bottiglia, vino dai classici profumi bordolesi e note mentolate, dal bel gusto pieno e saporito ancora in evoluzione. Sempre a Bolgheri ottima la batteria dei vini della Fattoria Terre del Marchesato, con mia predilezione per il Papeo 2016, Vermentino atipico in quanto lavorato come un grande rosso con diradamento delle uve, raccolta manuale, macerazione in barrique con follature manuali costanti ed infine affinamento in acciaio per un anno, di un bel giallo dorato con un vasto spettro olfattivo dai frutti tropicali ad un sottofondo di tostatura, complessità che si ritrova anche in bocca tanto da poterlo consigliare tranquillamente in abbinamento su carni bianche; di rilievo anche il Tarabuso 2013 (100% Cabernet Sauvignon) ed il Marchesale 2013, dai migliori grappoli di Syrah lavorati a mano, fermentati non in acciaio ma in barrique di rovere francese con continue follature prima dell’affinamento sempre in barrique per 18 mesi più un lungo riposo in bottiglia, con il risultato di un vino ottimamente equilibrato tra potenza olfattiva ed eleganza gustativa. In provincia di Pisa, tre le aziende che ho trovato particolarmente meritevoli di menzione: la Regola (di cui parlerò più diffusamente in futuro), Torre a Cenaia e Usignan del Vescovo, quest’ultima soprattutto per il MilleEottantatre 2011, 100% Petit Verdot, produzione ridottissima per un vino invecchiato quasi 4 anni tra tonneaux nuovi e bottiglia dal colore quasi cupo, primo impatto al naso di piccole bacche a cui succedono aromi terziari come caffè tostato e cioccolato, in bocca pieno e succoso con presenza di bei tannini. Due tipologie di Vermentino (Pitti 2016 e Cenaja Vendemmia tardiva 2015) ed un blend di Merlot/Syrah (Per non dormire 2012) della Tenuta Torre a Cenaia già mi avevano intrigato, ma il vino che ho degustato più volentieri è stato il Torre del Vajo 2013, da uve Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Syrah, affinato metà in vasche di cemento e metà in tonneaux per 12 mesi, morbido al palato con tannini vellutati che invitano a riempire ancora e ancora il bicchiere. “Gli uomini sono come il vino: non tutti i vini invecchiando migliorano, alcuni inacidiscono.” – Eugenio Montale
![]() Per chiudere il poker dedicato a Vinitaly, una puntata senza un vero e proprio filo conduttore, se non quello di parlare di alcuni vini di cui, per un verso od un altro, ho ottimi ricordi. Iniziando dal nord, Gaierhof è un’azienda a conduzione familiare colorata di rosa (ben 3 le figlie del proprietario vi lavorano), fondata nel 1976 con sede a Roverè della Luna, il comune più a nord della provincia di Trento ed improntata principalmente sui vitigni autoctoni: molto particolare, anche nella forma della bottiglia, il Giallo Gaierhof, da uve Moscato giallo vinificate fino ad ottenere un vino secco al quale viene poi aggiunta una parte di mosto conservato dolce, ottenendo così un vino dai profumi aromatici, in particolare di uva, pesca e frutti tropicali, dal corpo leggero ma di una dolce e gradevole morbidezza. L’azienda è proprietaria anche del Maso (tipica costruzione rurale, casa di pietra con terreni di proprietà) Poli nei cui 10 ettari vitati vengono prodotti i vini di alta gamma, come il Pinot Grigio, il Pinot nero superiore e l’ultimo nato, il Maso Poli Brut Trentodoc Riserva 2011, Chardonnay 80% e Pinot nero 20%, vinificato per il 30% in barriques prima dell’affinamento per 50 mesi in bottiglia, dal perlage croccante e dagli aromi immediati di crosta di pane e brioche sfumanti in sentori agrumati, in bocca poi predomina una vena acido-minerale che rende piacevole la bevuta. Scendendo dal Trentino in Veneto, la mia sosta più lunga è stata allo stand dell’azienda Villa Spinosa, azienda vitivinicola con sede in una splendida villa ottocentesca a Negrar nel cuore della Valpolicella Classica, dove possiede 20 ettari di vigneti tra le vallate appunto di Negrar e Marano producendo tutte le tipologie dei vini della Valpolicella, dal Classico al Superiore ed al Ripasso fino all’Amarone ed al Recioto. I vigneti Jago, Figari e Costa del Buso sono i tre “cru” aziendali, vendemmiati e vinificati separatamente per sfruttarne al meglio le caratteristiche, microcosmi unici costituiti dalle mutazioni del suolo, dal movimento dei venti e dalle esposizione al sole che, uniti al lavoro in vigna ed in cantina nel rispetto dell’ambiente e della tradizione, danno vita a vini di carattere e personalità, dall’impronta riconoscibile e tipica, ritrovata in tutti gli assaggi della gamma. Di particolare rilievo, oltre l’Amarone della Valpolicella Classico 2008 già premiato con i Tre Bicchieri del Gambero Rosso, l’Amarone Guglielmi di Jago, la massima espressione della filosofia enologica di Villa Spinosa, prodotto solo nelle migliori annate: mini verticale di due annate, 2004 e 1998, entrambe con raccolta manuale di uve Corvina Veronese, Corvinone, Rondinella, Molinara e piccole percentuali di altri vitigni autoctoni, affinati per un anno in barrique ed ulteriori 7 anni il primo e 12 anni il secondo 15 in botti di Rovere di Slavonia, più ancora un anno in bottiglia (i numeri 10 e 15 in etichetta si riferiscono agli anni dalla vendemmia prima della messa in commercio). Senza voler descrivere questi vini in maniera classica, quello che mi resta in memoria è di aver assaporato la vera essenza dell’Amarone, potendo confrontare lo stesso vino, già degnamente invecchiato, a distanza di ulteriori 5 anni, riscontrando in bocca un surplus di gusto, di ampiezza, di evoluzione, due vini da sorseggiare con calma per poter godere di tutta la loro complessità data dalle speziature, dalla balsamicità, dai profumi che cambiano nel bicchiere, dai fini tannini che avvolgono il palato mentre si deglutisce il vino, potente e dalla decisa struttura. Last but non least, segnalo il mio vino preferito tra tutti quelli che finora ho assaggiato provenienti dall’Etna: si tratta di “Profumo di Vulcano” di Federico Graziani, da uve Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio più cenni di Alicante e Francisi di una piccola vigna lavorata completamente a mano senza uso di pesticidi né trattamenti sistemici in Contrada Feudo di Mezzo a Passopisciaro (versante nord), 700 mt di altitudine, età media delle piante circa 75 anni ma anche numerose piante centenarie: vinificato in tini senza controllo della temperatura e con lieviti indigeni ed affinato in botti di legno di piccole e medie dimensioni non nuovi per 18-24 mesi e poi in bottiglia senza filtrazione e travasi, questa chicca enologica, prodotta in pochissime bottiglie con l’etichetta disegnata da Piergiuseppe Moroni, intriga già dai primi delicati sentori fruttati al naso, ma il meglio di sé lo esprime nell’elegantissimo sorso dalla chiara personalità, setosi tannini ed accenni di mineralità, toni balsamici ed un gusto pieno davvero affascinante. “Non c’è niente di sbagliato nella sobrietà a piccole dosi” - John Ciardi
![]() Inizio subito col racconto relativo alla seconda parte del titolo, vale a dire una degustazione che doveva andare solo in una direzione e invece...entrato come “stampa” in una delle sale riservate di Ca’ del Bosco, azienda leader della Franciacorta, dove è data la possibilità di scegliere 4 assaggi in una lista di 14 oltre ad avere un graditissimo nonché sfizioso accompagnamento culinario, ho ovviamente optato per le specialità della casa, vale a dire le tre bollicine della Vintage Collection annata 2012, Brut, Satén e Dosage Zéro, avendo già degustato al banco la Cuvée Prestige e, durante un interessante seminario sulle declinazioni del Pinot Nero in Francicorta, la splendida Vintage Collection 2007 del Dosage Zèro Noir: particolarità di tutti gli spumanti aziendali è il sistema di dégorgement in totale assenza di ossigeno (Metodo Ca’ del Bosco brevettato), evitando in tal modo shock ossidativi ed ulteriori aggiunte di solfiti. Vini per le occasioni importanti, strutturati, pieni ed intensi, la mia passione per i Nature mi fa preferire il Dosaggio Zero, da vigne tra i 25-30 anni di Chardonnay 65%, Pinot Bianco 13% e Pinot Nero 22%, con le uve, selezionate a mano, che beneficiano delle cosiddette “terme degli acini”, particolare sistema di lavaggio e idromassaggio dei grappoli tramite tre vasche di ammollo e un tunnel di asciugatura a cui segue la fermentazione del mosto per 5 mesi e la successiva creazione della cuvée: dopo 4 anni sui lieviti, esce uno spumante dalla grande complessità aromatica e potenza espressiva, con forti richiami minerali, pieno ed intenso. Come ultima scelta ho voluto provare un vino che non conoscevo, il Pinéro (Pinot Nero del Sebino I.G.T.) annata 2007: scelta fortunata, un gran bel vino ottimamente invecchiato da uve di 6 vigne storiche (età media 30 anni), invecchiato per 11 mesi in piccole botticelle di rovere per il 50% nuove, di un rosso rubino luminoso e inusualmente profondo per il Pinot nero, dalle note fruttate di piccolo frutti neri mescolate con spezie e sottobosco, morbido e finemente sapido in bocca, estremamente elegante e con tannini setosi, chiusura con rimandi minerali. Per la serie “the best of bollicine”, riparto dai due nuovissimi spumanti Trentodoc prodotti dalla cantina sociale Roveré della Luna, con sede nelle omonima frazione della Valle dell’Adige in provincia di Trento, ma con vigneti estesi su circa 420 ettari iscritti a varie DOC tra Trentino e Alto Adige, che gli permettono anche di produrre una vasta gamma di vini (Pinot Grigio, Gewürztraminer, Chardonnay) con un rimarchevole rapporto qualità/prezzo: il Vervè Brut Millesimato 2013, blend di Pinot Bianco e Chardonnay al 40% e 20% di Pinot Nero, freschissimo in bocca, dalle bollicine fini e croccanti con leggeri sentori di crosta di pane dovuti agli oltre 30 mesi di rifermentazione sui lieviti in bottiglia, ed il vivace Vervè Rosé a base Pinot nero della stessa annata, di un brillante color buccia di cipolla e dalle delicate nuances di boccioli di rosa e note di piccoli frutti rossi su un sottofondo speziato, atecnicamente “va giù che è un piacere!”. Due prodotti, anche e soprattutto nel packaging ed etichette flashanti, destinati a conquistare i favori di un pubblico più giovane, magari meno attratto dalla complessità di certi spumanti-icona del Trentodoc, ad esempio quelli di Altemasi, linea di eccellenza degli spumanti Cavit: ogni volta che posso non riesco a negarmi l’assaggio dei top di gamma, i due fuoriclasse Riserva Graal (70% Chardonnay, 30% Pinot nero) e Pas Dosé (60%-40%), con vigneti nelle aree collinari più elevate (fino a 600mt) e vocate della spumantistica trentina, affinati sui lieviti per 6 anni, entrambi di grande stoffa, il primo magari più ampio, con un maggior spettro olfattivo e gustativo, ma la mia personale preferenza va al Pas Dosé, più austero e verticale, di gran nerbo in bocca. Due parole sul marchio “Trentodoc”, la cui immagine evidenzia una delle caratteristiche imprescindibili del Metodo Classico, vale a dire il remuage (scuotimento e capovolgimento della bottiglia per far sedimentare le fecce sul collo della stessa in attesa della loro eliminazione con la sboccatura), che viene rappresentato dalle due “O” costituenti un disegno che evoca il movimento rotatorio. Nella sala del Consorzio ho giusto avuto l’opportunità di degustare 3 ottime Riserve Dosaggio Zero, Bellaveder 2012, Maso Martis 2011 e, top, il 2010 di Letrari, azienda storica trentina: blend di Chardonnay e Pinot Nero raccolti esclusivamente a mano, almeno 3 anni sui lieviti, fine perlage, note ammandorlate, sapido e persistente, bevuta elegante ed estremamente appagante. “Ma fra il vino e l’amor, non saprei quali sian ragion di scelta: a mio parere, per non far torto a cose in pregio eguali, direi che meglio sia scegliere l’una e l’altra, che non sceglierne nessuna” – Lord Byron
|
Archives
Aprile 2018
Categories |